Saluti di pace
Il primo novembre, giorno di Ognissanti, è morto Massimo Paolicelli, di un male incurabile che lo ha troppo velocemente sottratto ai suoi affetti. (Enrico Maria Borrelli)
Aveva appena 48 anni.
Eravamo amici, e in cuor mio lo saremo sempre, da quando per la prima volta nel 1997 sono entrato alla Camera dei Deputati per incontrarlo, lui che era Portavoce dell’Associazione Obiettori Nonviolenti. In quel palazzo che, non senza ragioni, incuteva timore ad un giovane inesperto come me incontrare Massimo, con quei suoi modi affabili, fu un sollievo inaspettato. Mi ero appena affacciato all’impegno pacifista, da poco avevo terminato il mio anno di servizio civile come obiettore di coscienza, e Massimo lo conoscevo, come chiunque avesse fatto domanda per il servizio civile in quegli anni, per il nome in calce alla guida del “Piccolo Obiettore” e per i tanti articoli di giornale che riportavano le sue dichiarazioni contro le armi, le guerre, le ingiustizie.
La sua stanza, più che un grigio ufficio delle istituzioni, era un arcobaleno di colori tratteggiato da bandiere della pace, volantini, documenti, foto di manifestazioni e di amici sorridenti. Sotto una giacca blu, al cui petto aveva l’immancabile spilla con il fucile spezzato, portava una terribile cravatta della Disney che speravo gli avessero regalato. Quella cravatta, ahimè, l’aveva comprata e non era neanche l’unica di quel genere nel suo armadio. Ne andava orgoglioso, come di ogni scelta che faceva.
Sono nati così, da un incontro poco più che casuale, la nostra amicizia, il lavoro comune con l’associazione Obiettori, le tante iniziative, gli incontri in giro per l’Italia a discutere tra quattro gatti di obiezione, di pace, di cause giuste e quasi sempre perse. Perché ne abbiamo perse di battaglie Max, altro che. “E allora?”, ecco come mi rispondevi, eri disarmante. Io pragmaticamente afflitto, tu instancabilmente tenace. E allora niente Max, dicevo per dire, è che noi persone comuni ci stanchiamo, ci scoraggiamo, abbiamo poco fiato per correre tutta la vita dietro ai nostri ideali, prima o poi ci accasciamo, alla prima salita, o alla seconda, o alla terza, e alla fine quasi sempre ci fermiamo. Tu no, per diamine, avevi un fiato enorme, eppure la cosa più sportiva che ti ho visto fare è stata chiamare Damiano Tommasi alle nostre conferenze stampa. Affannando, per altro. Ricordo invece l’emozione di quando mi hai detto che tu e Dora aspettavate Damiano, ma questa volta non era il giocatore della Roma, era quello splendido bambino che appena hai potuto hai posato su una bandiera della pace e l’hai fotografato. Perché il frutto non cadesse lontano dall’albero. E poco dopo è arrivata Margherita.
“Sono Massimo, ti disturbo?”, “Dipende Max, aspetti altri figli?”, “Che io sappia no”, “Allora dimmi pure”, “Non sto bene, sono in cura”. Me lo hai detto una volta sola e non ne hai più parlato, non hai mai fatto pesare le tue preoccupazioni personali, continuavi a sollecitarmi sulle cose da fare e a darmi compiti a casa. Fino all’ultimo, tu il maestro, io l’impenitente allievo.
Quando sono venuto in chiesa a salutarti non è stato facile Max, c’era tantissima gente, quasi troppa per condividere un dolore così intimo. Dora era li che sorrideva con dolcezza a tutti e ti guardava continuamente, l’ho riconosciuta per questo.
In tanti hanno voluto ricordare al microfono quello che hai fatto e quello che hai saputo essere, le battaglie, le passioni, l’amore per la pace, gli amici, la famiglia, la tua invidiabile onestà intellettuale. Io non me la sono sentita Max, scusami. Ho saputo solo essere li (non sarei mai mancato) sforzandomi di non cedere al dolore. Quando siamo usciti dalla chiesa, mi sono anticipato per accompagnarti fino alla macchina, magari volessi dirmi ancora qualcosa. E’ così che mi sono accorto del messaggio che hai voluto ti accompagnasse nel tuo ultimo viaggio: “Non smettiamo mai di immaginare un mondo migliore. Saluti di pace. Massimo”. Ci mancherai Max, ci manchi già.
Saluti di pace anche a te amico mio, continueremo noi a rincorrere i tuoi sogni, portandoti nel cuore come esempio.