Se questo è uno Stato. Quando la disabilità vale 17 centesimi l’ora per la presa in carico della persona
di Enrico Maria Borrelli, presidente Forum Nazionale Servizio Civile
Lara ha 24 anni, ed è una ragazza con sindrome di Down. Vorrebbe fare servizio civile in una biblioteca, ma a Torino non ci sono posti idonei alle sue capacità e viene esclusa. Ancora una volta, in antitesi alla sua aspirazione universalistica, capita che il servizio civile escluda chi ha meno possibilità di altri.
Da diversi anni, in particolare dopo la riforma del 2017, il servizio civile è diventato un esperimento politico ed economico, che misura la distanza siderale della politica dalla realtà. Alla domanda: può lo Stato rispondere ai bisogni dei cittadini senza investire risorse proprie e delegando alla spontaneità del volontariato gli oneri di esercizio, gli obblighi di risultato e tutte le responsabilità amministrative, economiche e penali? Il legislatore risponde sbrigativamente di si e stanzia appena 250 euro l’anno per la presa in carico della persona con minori opportunità.
Nel 2020, su un totale di 55.793 posti messi a bando, sono stati 2.827 i posti per giovani con minori opportunità (il 5,1% del totale). Ciò significa che gli enti continuano, nonostante la sconcertante assenza di misure di sostegno adeguate, a finanziare con risorse proprie l’inclusione dei giovani con minori opportunità. Finché potranno, finché ne avranno.
La cronica carenza di risorse pubbliche e una palese incapacità di interpretare la società ed i suoi mutati bisogni, ivi inclusi quelli che affliggono i corpi sociali come il terzo settore, hanno dato luogo ad esperimenti politici sempre più arditi. Tra questi, agli onori della cronaca oramai da qualche anno, spicca il Servizio Civile Universale: un insieme affastellato di norme, circolari, prontuari, progetti e responsabilità a carico degli enti, dei volontari e delle loro organizzazioni che dovrebbe aiutare il Paese, ed i suoi giovani, a crescere e progredire nella conquista del benessere.
A beneficiarne per primi dovrebbero essere proprio i giovani e, tra loro, soprattutto quelli con minori opportunità come Lara. Per favorirne concretamente l’inclusione andrebbero previste condizioni facilitate di accesso, meno selettive da un punto di vista delle competenze in ingresso e meno gravose sotto l’aspetto delle responsabilità amministrative per gli enti chiamati ad accogliere, formare e accompagnare i volontari in un’esperienza tanto educativa e formativa quanto inclusiva.
Come funziona la misura per “favorire l’inclusione” dei giovani con minori opportunità, prevista dall’ambiziosa riforma del 2017, ce lo dice la ‘Circolare per la redazione e la presentazione dei programmi e dei progetti di servizio civile universale’ del 23 dicembre 2020. A carico degli enti, in aggiunta ai già numerosi obblighi della progettazione ordinaria, vi sono: la descrizione delle azioni di informazione e sensibilizzazione che l’ente intende adottare per favorire la partecipazione di tali giovani; la descrizione delle ulteriori risorse umane e strumentali e/o delle iniziative e/o delle misure di sostegno volte ad accompagnare gli operatori volontari con minori opportunità nello svolgimento delle attività progettuali; la disponibilità di una compagnia assicurativa di stipulare, con l’ente proponente il progetto (ovvero a spese dell’ente), un apposito contratto di assicurazione integrativa per tutelare i giovani con minori opportunità dai rischi connessi con l’attività svolta. Certo, a disposizione degli enti c’è anche un lauto rimborso spese di 250 euro l’anno per ciascun giovane con minori opportunità, ovvero 20 euro al mese, ripeto 20 euro, per coprire i costi delle attività specifiche da prevedere nel progetto, delle risorse umane dedicate (e qualificate!), della promozione e della comunicazione sul territorio, dell’assicurazione integrativa e delle selezioni specifiche da fare nell’ambito di un concorso pubblico interamente affidato alla responsabilità dell’ente. Se con i 250 euro concessi dallo Stato, gli enti volessero pagare la sola risorsa umana che affianca il giovane con minori opportunità, dovrebbero ingaggiarla a 17 centesimi l’ora. Mi vergogno persino a scriverlo.
Una politica pubblica di difesa non armata della Patria, una scuola di educazione ai valori fondativi della Costituzione, uno strumento per attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 e, infine, una palestra di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro per le nuove generazioni. Queste sono le ambiziose finalità del Servizio Civile Universale indicate dalla riforma e, per sostenerlo, lo Stato investe 5.400€ l’anno per ciascun giovane, di cui: 5.280 euro vanno direttamente al giovane (440€/mese come rimborso spese) e 90 euro l’anno, ripeto 90 euro, vanno all’ente, quale unico contributo che lo Stato riconosce agli enti di servizio civile, quale rimborso forfetario per una formazione generale di almeno 30 ore. In sintesi, con 7,5€ al mese un ente deve prendersi cura di un giovane, dalla a alla zeta. Queste non sono congetture, sono dati reali sebbene surreali.
Vale la pena ricordare che gli enti non hanno mai chiesto un sostegno economico allo Stato per accogliere i giovani e accompagnarli in un’esperienza di crescita e di formazione. Lo hanno sempre fatto con enorme generosità da cinquant’anni. Ma essere disposti a sostenere sussidiariamente le politiche pubbliche, per quanto nelle possibilità di noi enti, pur sempre piccoli rispetto alla grande macchina statale, non equivale a ritenere che il compito (e la responsabilità di realizzarle) sia il nostro, confondendo così consapevolmente la sussidiarietà con la titolarità. E’ bene ribadire che l’ente di servizio civile ha con la pubblica amministrazione, un rapporto di collaborazione e non di subordinazione. Per i propri servizi resi non gli viene corrisposto alcunché, né ne ricava alcun profitto e non gli possono essere di contro richiesti assunzioni di responsabilità, adeguamenti normativi ed oneri gestionali senza in alcun modo considerare il costo che comportano. Gli va quindi destinato il sostegno necessario per adeguarsi alle recenti normative che continuamente richiedono sempre maggiori assunzioni di responsabilità, maggiori sforzi organizzativi e maggiori oneri gestionali.
Se oggi Lara non può fare servizio civile abbiamo tutti una colpa, ma lo Stato ne ha sicuramente di più.