Servizio civile in tempo di guerra. Strumento di pace o di occupazione?
di Katia Tulipano, Direttore ServizioCivileMagazine
Il dialogo con il Governo che sembra voler cambiare la natura del Servizio Civile e chiedere oneri insostenibili per il Terzo Settore è sospeso da una riserva. Gli enti invocano ascolto, i giovani risposte.
Leggo il resoconto del presidente della Consulta Servizio Civile sull’ultima riunione in cui si è parlato anche del bando attualmente aperto con riserva, e non riesco a non interrogarmi sulla genuinità delle parole delle istituzioni quando dicono che il Terzo Settore è necessario per ricucire l’Italia.
Se ai volontari si riconosce con sincerità il valore di “veri e propri corpi intermedi della Repubblica, pronti all’intervento di urgenza, impegnati nelle ricostruzioni delle lacerazioni patite dalle popolazioni, delle ferite presenti nel nostro tessuto sociale - e alle quali non sempre le istituzioni riescono a porre rimedio - nella gestione e nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale” per dirla con le parole del nostro Presidente della Repubblica, come si può chiedere al Terzo Settore, ed in particolare agli enti del Servizio Civile Universale, ulteriori e insostenibili oneri burocratici e organizzativi sotto l’egida dell’“obiettivo sono i giovani?”
Sono in disaccordo. L’obiettivo non sono i giovani. Loro sono i protagonisti, insieme agli enti, grazie ai quali il servizio civile prende vita. Non è una mia opinione. E’ la costituzione che lo cristallizza quando parla di “difesa della Patria” e non di creare occupazione per i giovani e a tale scopo certificarne le competenze acquisite.
L’obiettivo del servizio civile sono le comunità e il realizzare quegli interventi che gli enti, attraverso l’impegno politico ed associativo sul territorio e il costanteascolto, che li trasforma in antenne dello Stato nell’intercettare i bisogni, ideano e strutturano in progettualità che rappresentano anche una risposta agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
I giovani sono gli attori, non i destinatari. Perché nel creare welfare per i territori attraverso il servizio civile, coinvolgendo i giovani, gli enti li stimolano anche alla partecipazione, ai valori, concorrono alla costruzione della pace, intesa come rispetto dell’altro e pre-occupazione di ciò che gli sta intorno, facendogli vivere un’esperienza di educazione civica costante e strutturata. Pre-occuparsi significa occuparsi prima. Prima delle emergenze, prima dei problemi: il servizio civile fa questo, offre ai giovani l’opportunità di occuparsi di ciò che gli piace, in un ambiente confort, disciplinato da un progetto ed accompagnati da persone che hanno deciso di farlo, gratuitamente, come gli olp, che qualcuno ama definire maestri, di sicuro dei compagni di viaggio. E per questo impegno lo Stato riconosce ai giovani un valore immenso, attraverso un rimborso per il tempo speso a mettersi a servizio dell’altro, un tempo prezioso in un momento storico più difficile di sempre. Un riconoscimento piccolo, ma significativo. E, sempre lo Stato, prevede nei concorsi pubblici che se ti sei impegnato per la comunità devi avere dei punteggi maggiori per alcuni bandi. E ricollega anche la concessione dell’assegno unico familiare ai giovani che hanno fatto il servizio civile. E l’attestato, si, gli dà anche l’attestato. Gli altri benefit però non glieli dà lo Stato, sono ricollegati ad un impegno volontario e forte degli enti in un rapporto di leale e profonda collaborazione che va avanti dal 2001 con il Governo. Sino ad ora. I benefit per i giovani sono ricollegati a quel lavoro qualificato degli enti che per accedere al servizio civile in seguito all’ultima riforma del Terzo Settore, hanno dovuto fare investimenti importanti, per dotarsi di quella “struttura organizzativa” richiesta dal nuovo albo, ispirato alla logica delle grandi reti, qualificate, strutturate, che garantissero un dialogo costante e qualificato con lo Stato e con i giovani. Questo solo qualche anno fa, non decenni.
Quel dialogo gli enti lo hanno garantito sempre, in modo pronto e leale. Come quando a pochi giorni dal primo lockdown per la pandemia da Covid-19, quello delle canzoni ai balconi, delle immagini delle bare sui camion in provincia di Bergamo, della paura, di un Papa solo in una piazza San Pietro deserta, gli enti hanno risposto in soli 15 giorni alla chiamata dello Stato di scendere in campo con i propri volontari. E decine di migliaia di giovani lo hanno fatto.
Non vengono chiesti ringraziamenti o medaglie, ma ascolto. Quello che gli enti invocano è solo di essere ascoltati, e di non rispondere alla liberalità di gesti, alla dedizione, al volontariato, con richieste, continue richieste, ed altre richieste, sempre più incalzanti e gravose. E con agenzie di stampa che annunciano ‘sconosciuti’ provvedimenti di ‘riordino’ del Servizio Civile dopo anni di tavoli di lavoro, ed una riforma strutturata e partecipata del Terzo Settore, ancora in via di attuazione.
Lo Stato sta ab-usando della messa a disposizione di uomini e donne di buona volontà per le proprie comunità.
Gli enti possono scegliere di non rispondere a quei bisogni del territorio, di non progettare, di licenziare tutte le persone e le professionalità ingaggiate, di chiudere. Ma significherebbe decretare la morte del servizio civile e la dispersione di risorse statali a favore dei giovani e dei territori. Gli enti questo lo capiscono e continuano a chiedere una leale e proficua collaborazione, ascolto e dialogo. La Ministra ed il Dipartimento no, non lo comprendono che da soli si va più veloci – verso la distruzione del Servizio Civile Universale così come è stato concepito e la cristallizzazione del servizio civile come strumento di welfare e occupazione – ma insieme si va più lontano.
Prima della questione economica, viene quella organizzativa e di efficienza, prima della riconoscenza, viene il buon senso e l’onestà intellettuale verso il Terzo settore: come possono gli enti realizzare gli interventi promessi ai giovani ed al territorio se devono rispondere alle continue ed incalzanti richieste di uno Stato che ha una gran voce per chiedere, ma orecchie piccole per ascoltare? Non si sa come possono, eppure ci riescono.
“Commette un errore chi pensa che l’impegno volontario, e i valori che esso trasmette, appartengano ai tempi residuali della vita e che non incidano sulle strutture portanti del nostro modello sociale” dice il nostro Presidente della Repubblica.