Erasmus al tempo del Covid: metà degli studenti continuano la propria esperienza all'estero

di Redazione

Sono partiti in 13mila per svolgere un'esperienza studio nuova e a causa della pandemia il loro programma è stato rimodulato. Tanti non hanno mollato e, per l’anno prossimo, le domande sono già in aumento. 

erasmus

Erano 13 mila, all’inizio di marzo, gli studenti italiani, e 165mila quelli europei, in «mobilità» con il programma Erasmus. Partiti per studiare in un’altra università del Continente, hanno visto i loro piani stravolti dall’emergenza Covid-19. In Italia, prima, dove ogni anno arrivano 27mila ragazzi; poi in Spagna, Francia, Germania, i Paesi che accolgono più candidati. Gli atenei hanno chiuso i battenti, lezioni ed esami trasferiti online. A studenti e staff è stata assicurata la possibilità di rientrare, invocando la clausola di «forza maggiore» e chi ha scelto di annullare o rinviare l’esperienza, ha comunque continuato a percepire il contributo comunitario.
Il 50% degli studenti italiani (dice l’Indire, agenzia nazionale che gestisce la mobilità in entrata e in uscita) e il 40% di quelli europei (fonte Commissione Ue) sono rimasti nel Paese ospitante, seguendo le lezioni e accumulando i previsti crediti universitari. Non, però, le esperienze, gli incontri, i frammenti di felicità che poi si ricordano per la vita. Chi ha preferito tornare a casa, all’inizio ha lamentato mancanza di coordinamento e confusione.

Qualcuno ha dovuto affrontare viaggi avventurosi e sostenere costi non previsti. «Ma la Commissione Ue ha reso ammissibili tutte le spese, comprese quelle di chi è dovuto rientrare con mezzi diversi da quelli programmati», precisa l’Indire. E a tutti è stato concesso di completare da casa le attività. «L’indicazione univoca è stata garantire continuità al programma, guardare avanti», dice Flaminio Galli, direttore dell’agenzia. Che per il futuro vede rosa:«Nonostante tutto — dice — i numeri sono in crescita»: per il prossimo anno le domande di candidature per mobilità sono aumentate del 3%. «Dati che – afferma Galli - evidenziano l’interesse ad andare avanti nella cooperazione e il valore aggiunto di lavorare insieme in ambito europeo».

Intanto, nel pieno della Fase2, la Commissione europea ha deciso che Erasmus non si fermerà. Certo, dovrà consentire ampi margini di flessibilità. Consentire di fare esperienza all’estero in modalità «blended»: si chiamerà ancora «mobilità» ma probabilmente, almeno all’inizio, sarà in gran parte virtuale. In gioco ci sono miliardi di euro, per continuare a promuovere il senso di appartenenza all’Europa. La richiesta alle università è di essere flessibili, agevolare il «distance learning». Ed essere pronte a combinare, appena possibile, l’attività virtuale con quella in presenza. Perché il vero valore aggiunto del programma, che in trent’anni ha messo in movimento tre milioni di universitari, è varcare i confini nazionali per entrare in contatto con la quotidianità di altri luoghi, diverse mentalità e modalità di lavoro.

 

(Fonte articolo: Corriere.it - fonte foto: Ravenna notizie)