Al-Shabab fa strage di tifosi: l’islam è contro i giovani che amano il calcio?
Il gruppo terroristico somalo al-Shabab (in arabo “gioventù”) ha rivendicato l’attentato che l’11 luglio scorso è costato la vita a 76 persone che si erano riunite a Kampala, capitale dell’Uganda, per assistere alla finale dei mondiali di calcio. (Monica Scotti)
Il copione è sempre lo stesso: un boato improvviso, seguito da urla disperazione, che a tradimento uccide civili innocenti. Ma qual è la loro colpa secondo gli attentatori e chi sono i membri di al-Shabab? Questa volta ad armare la mano dei terroristi pare siano stati l’odio verso l’Uganda (il paese è considerato un nemico, vista la sua partecipazione alla forza di pace che l'Unione africana ha schierato nella Somalia in piena guerra civile),e quello per lo sport del calcio, ritenuto, da un punto di vista strettamente religioso, fonte di corruzione per chi lo pratica e per chi fa da semplice spettatore.
L’interpretazione legale fondamentalista che è alla base della condanna di questo sport, considerato, dunque, haram (“proibito”), si fonda sul richiamo ad alcune norme tradizionali dell’Islam, ovvero il divieto di scommettere e giocare d’azzardo, il divieto di mostrare il proprio corpo scoperto, il divieto per uomini e donne di condividere gli stessi spazi magari abbandonandosi all’euforia della musica. In definitiva: non c’è nulla di sbagliato nel gioco in sé, ma in ciò che lo accompagna e potrebbe distogliere i giovani dalla giusta pratica della fede in nome del’’ammirazione per uno stile di vita prettamente “occidentale”.
Questo secondo un approccio rigido alla che non tiene conto né dell’evoluzione della società, anche musulmana, nel corso dei secoli né del fatto che uno dei capisaldi della religione del profeta Maometto è proprio il principio secondo cui “non vi è costrizione nella fede” (Cor. II, 256) e dunque nessun uomo ha il diritto di ucciderne un altro perché non segue alla lettera i precetti religiosi (spesso si dimentica, infatti, che la lotta cruenta agli infedeli a cui si fa cenno nel Corano, è quella verso i politeisti).
A dimostrazione che la condanna del calcio non è univoca all’interno del variegato mondo islamico arriva la fatwa (“sentenza religiosa”) emessa negli Emirati Arabi, che invece di bandire questo sport, bandisce le assordanti vuvuzelas dagli stadi (in quanto rischiano di danneggiare l’udito).
Tornando alla domanda iniziale, ovvero “chi sono i membri di al-Shabab?”, va detto che il gruppo terroristico, che solo recentemente ha iniziato a collaborare con al-Qaeda, ha sede in Somalia, dove da oltre 30 anni va avanti una guerra civile per il controllo della Repubblica federale, e nasce come braccio armato dalle ceneri della UCI (Unione delle Corti Islamiche).
Recentemente al-Shabab, che si oppone al governo, ha esteso il proprio controllo su alcune zone del paese e su parte della capitale, Mogadiscio, dove ha persino occupato i due stadi cittadini trasformandoli in campi di addestramento per giovani militanti. L’odio per il calcio, dunque, diventa uno strumento per reclutare i ragazzi e iniziarli alla lotta armata, strappandoli a un’attività che per molti rappresenta una salvezza.
E’ stato così per Mahad Mohammed, 16enne calciatore dell'under-17 somala, che in vista di un importante incontro con la nazionale egiziana, è costretto ad allenarsi insieme ai suoi compagni di squadra nel cortile della locale stazione di polizia, mentre il presidente della federazione calcio somala, Abdulghani Sayeed, è ridotto a vivere in un hotel di Mogadiscio sotto stretta sorveglianza.
Non sono al sicuro i calciatori e le loro famiglie, neppure chi ha già pagato un prezzo altissimo a causa della guerra, proprio come Mahad Mohammed che ha alle spalle un passato tremendo da bambino soldato e bodyguard di uno dei tanti “signori della guerra”. Forse la cosa più triste è il timore di questo ragazzo che ha già perso l’infanzia e ora dice “È possibile che gli Shabab mi arrestino e mi costringano a diventare uno di loro”. Sembra volerlo rassicurare il suo allenatore, Yusuf Ali, che promette “Non ci arrenderemo e anzi, avvieremo una campagna di sensibilizzazione per reclutare altri giovani calciatori di talento”.