Università. Test di medicina: il fascino del camice bianco porta +20% di iscrizioni in facoltà

di Angelo Di Pietro

Troppe richieste. Troppi pochi posti. Il dramma dei test d’ingresso universitari. Sfogliamo la Costituzione in cerca del diritto allo studio. E se aprissimo il numero chiuso? Problemi e disagi dell’istruzione italiana nel 2010. (Angelo Di Pietro)

medicina Sarà che Dottor House ha un ché di affascinante, ma il camice bianco mai come oggi attira le giovani menti italiane. E infatti, il tanto successo della professione ha avuto come risultato un incredibile aumento delle domande per i test d’ammissione. Alle facoltà di medicina della Federico II di Napoli, in 4mila si contenderanno i 300 posti messi a disposizione; a Verona saranno in 1500 per 170 posti; alla Bicocca di Milano in 1100 per 200 posti. Boom di richieste quindi, con un aumento di quasi il 20% rispetto il settembre scorso, per i test che si terranno il 2 settembre su tutta la Penisola.

Tutta questa sete di conoscenza e sapere medico fa scoppiare l’antica diatriba tra fautori e oppositori del numero chiuso. Ma è giusto selezionare l’accesso per una facoltà? Apriamo la Costituzione e cerchiamo gli art. 33 e 34: diritto allo studio. L’Italia deve garantire ai suoi cittadini un accesso universale e meritocratico a tutti i livelli d’istruzione. A questo scopo si prevede anche un’insieme di sovvenzioni e borse di studio per gli studenti meno abbienti. Almeno in linea teorica l’università è di tutti e per tutti.

Il principio costituzionale si scontra però con la realtà dei fatti, dove le problematiche che affliggono il sistema scolastico, emerse con prepotenza negli ultimi mesi, ne incrinano l’applicazione. Laboratori che chiudono, docenti licenziati, sit-in negli atenei, sono le ultime avvisaglie di un malessere con radici storicamente profonde: nel tempo i fondi destinati alla scienza, alla ricerca e all’istruzione sono stati costantemente ridotti e ciò ha pregiudicato la possibilità di gestire un numero elevato di studenti. Gli aiuti statali a pioggia, contro ogni criterio di merito, nonché le difficoltà burocratiche nella distribuzione delle borse di studio, fanno si che nel 2010 la retta venga percepita ancora come una barriera all’entrata. Tra l’altro, la situazione non si prospetta migliore per il futuro, se consideriamo le ultime manovre economiche e il miliardo e cento milioni di euro di ulteriori tagli previsti.

Eppure alcuni atenei contano oltre 3mila iscritti l’anno. Le facoltà di ingegneria e giurisprudenza sono stracolme, ma a numero aperto. Inoltre, un numero maggiore di iscritti non sarebbe un guadagno economico per l’ateneo, aiutando a compensare le mancanze governative? Il problema della formazione medica sembra andare oltre.

Proviamo a travalicare l’ambiente universitario per considerare il mondo del lavoro. La possibilità di qualificare gli studenti, al termine del loro percorso formativo, all’interno del mercato lavorativo rappresenta un’altra barriera. Perché, di pari passo con la scuola, si è provveduto a tagliare fondi anche alla sanità. Questo è il motivo per cui, nonostante la cronica mancanza di personale nelle strutture italiane, si continua a mantenere basso il numero degli studenti di medicina. È lo stesso presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli, Gabriele Peperoni, a poche ore dalla chiusura delle iscrizioni ai test di ammissione, a lamentarsi della situazione: “Bisogna eliminare le prove per l’ingresso in facoltà, troppo selettive e difficili. Non basta un test per valutare uno studente. Serve pratica e più dottori”.

Una situazione limite per un paese occidentale, i cui caratteri generali sembrano legati a problematiche economiche, a incompetenze gestionali e anche a forti pregiudizi sociali. Come non riconoscere, ad esempio, che il sistema scolastico non è capace di formare i ragazzi per queste tipologie di verifiche? In Italia, la predilezione per il colloquio orale come metodo di valutazione è una prassi educativa. Ed è giusto troncare le aspettative degli studenti a causa di tutto ciò? Se da un lato dobbiamo riconoscere dei limiti strutturali che impongono un numero limitato di iscritti, dell’altro bisogna cercare nuovi modi per affrontare la situazione. Un esempio ce lo fornisce l’università francese, che apre le porte a tutti, ma pretende il raggiungimento di un livello minimo di crediti e voti.

Aspettiamo delle risposte convincenti a questo stallo educativo. Però un ultimo appunto è d’obbligo. In giro sulla rete, a caccia di opinioni sui test e sulle prove, non è raro leggere commenti sul prestigio della facoltà e sulla necessità di mantenere un certo standard usando gli sbarramenti all’entrata. Ma un futuro medico affronta il suo percorso per dedizione e passione o per status e conto in banca? Chissà che avrebbe detto Dottor House! (foto corriereuniv.it)

Intanto, per tutti i lettori che a breve saranno sul banco di prova, non scoraggiatevi, ma fatevi riconoscere per la forza delle vostre conoscenze. In bocca al lupo!