I Bamboccioni? Sono maschi tra il 25 e i 34 anni e vivono a casa di mammà

di Katia Tulipano

A fare la differenza le usanze e i modelli familiari, i livelli di istruzione e la durata degli studi, che in Italia è tra le più lunghe e registra come normale o quasi l'arrivo del diploma di laurea tra i 25 e i 30 anni. (Katia Tulipano)

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Sono celibi, prevalentemente maschi, rimangono in famiglia senza soluzione di continuità e uno su cinque non lavora e non studia. E’ l’esercito dei “bamboccioni” che vivono ancora insieme ai genitori, fotografato dai dati diffusi da Eurostat e relativi al 2008. Nell'Unione Europea il 20% delle donne ed il 32% degli uomini di età compresa tra i 25 ed i 34 anni vive in casa con almeno uno dei genitori. Per quanto riguarda l'Italia, la percentuale delle ragazze sale al 32,7% e quella dei ragazzi al 47,7, un “record” tra i Paesi più ricchi dell’Unione Europea. In fondo alla classifica, invece, senza sorprese, i Paesi Nordici.

Così, dopo la sentenza del giudice di Trento che ha condannato un padre a mantenere la figlia trentenne, fuoricorso all'università e ancora senza un lavoro, e mentre il ministro Brunetta invoca una legge che costringa a uscire dal bozzolo familiare fin dai 18 anni, le famiglie italiane si confrontano con una mappa d'Europa che  -  in questo campo  -  offre una fotografia ricca di contrasti. A fare la differenza, oltre ai sistemi di welfare (dove non esiste sussidio statale per chi studia e per chi cerca lavoro, restare in casa è spesso una scelta obbligata), le usanze e i modelli familiari, i livelli di istruzione e la durata degli studi, che in Italia è tra le più lunghe e registra come normale o quasi l'arrivo del diploma di laurea tra i 25 e i 30 anni.

Non è un caso se Italia, Spagna e Irlanda presentano cifre così simili, pur partendo da situazioni economiche e da sistemi di welfare piuttosto diversi: il denominatore comune è la religione prevalente, quella cattolica, e un'idea di famiglia che vede ancora il matrimonio come il principale motivo per allontanarsi da casa. Ma le ragioni economiche e sociali prevalgono su quelle culturali. In Italia, come in Spagna o in Grecia, gran parte del welfare è affidato alle famiglie e gran parte delle famiglie non può permettersi di sostenere le spese di un figlio fuori di casa. Nel nord Europa, invece, dove le borse di studio vengono assegnate in modo più ampio ed esiste un vero welfare per i giovani, è considerato anomalo che un ragazzo resti in famiglia. Diverso anche il mercato immobiliare: dove gli affitti sono facili e accessibili, i giovani se ne vanno.

Un lavoro, anche precario o a tempo parziale, o comunque un reddito autonomo è alla base della scelta di lasciare il nido un po' in tutta Europa: se si guarda ai giovani che guadagnano, infatti, la percentuale italiana di chi resta a vivere con i genitori scende dal 70 al 60 per cento. Gioca contro, invece, la diffusione della precarietà contrattuale: in Italia e in Spagna i lavori a progetto, interinali e simili si sono diffusi soltanto negli ultimi anni, contribuendo a frustrare ulteriormente l'autonomia di ventenni e trentenni. Per andare a vivere da soli, i giovani inglesi sono disposti a fare debiti e a vivere in affitto, così come i loro coetanei svedesi, francesi e irlandesi, mentre la casa di proprietà o prestata gratuitamente da un parente prevale in Italia e in Spagna. 

E se la ragione di tanta differenza tra il Nord e il Sud d'Europa fosse da ricercare, come sostiene invece un gruppo di studiosi che, all'Università di Lione, si occupa della "sindrome di Peter Pan", nell'infanzia e nei modelli educativi? Forse è proprio così, se è vero che in Norvegia il 70% dei piccoli frequenta un asilo già prima dei 3 anni e che entro i dodici anni oltre il 60% ha già vissuto fuori casa per almeno una settimana grazie ai campi estivi e ai soggiorni di studio. In Italia, invece, il 56% delle madri, secondo un sondaggio sulle abitudini alimentari, non ritiene necessario insegnare a cucinare né ai maschi né alle femmine: "Sporcano troppo la cucina, preferisco farlo io".

Ma nell’universo dei ragazzi sospesi tra infanzia e maturità, quella che chiamano “generazione boomerang”, fatta di ventenni che rimandano ogni decisione, che tornano a casa dai genitori dopo la laurea, c’è anche una minoranza “etica”. Giovani poco indulgenti con se stessi, che si sentono colpevoli del loro status, che entrano nella loro stanza in punta di piedi, cercando di essere inquilini invisibili di mamma e papà. E lo fanno risparmiando, tenacemente, su tutto, studiando e combattendo.

Denis Trivellato è uno di loro. 28 anni, lavoratore part-time, una laurea in filosofia che non gli basta: ha capito che la sua strada è un’altra e così si è iscritto a Psicologia. “ Sto pagando questa scelta, ma ne vado fiero”, racconta Denis. Pagando come? “Vivo con 14 € al giorno, se devo comprare qualcosa penso: quante ore di lavoro vale?”. E così ha trovato un suo equilibrio contenendo spese e sostenendo esami. Ma avverte: “Quando sento parlare di bamboccioni però di vento una belva! “.

(foto: quicasa.it)