Lavoro, Italia terza per quota giovani Neet fra i Paesi Ocse

di Giuseppe Meccariello

Il 26% dei ragazzi italiani tra i 18 e i 24 anni non studia e non lavora: è quanto emerge dal nuovo Rapporto presentato a Parigi

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I dati emersi dal Rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) “Education at a Glance 2019” non sono sicuramente buoni per il Bel Paese: secondo quest’ultimo, infatti, il 26% dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni è Neet (Not Engaged in Education, Employment or Training). Quasi un terzo dei ragazzi e delle ragazze italiane in “età universitaria”, pertanto, non studia, non lavora e non è nemmeno impegnata in un percorso di formazione. Un indice che aumenta fino 37% delle donne tra i 25 e i 29 anni (“solo” il 26% per gli uomini nella stessa fascia d’età).

Questa non è l’unica notizia negativa: l’Ocse ha, infatti, segnalato che la scuola italiana potrebbe avere circa un milione di studenti in meno nei prossimi dieci anni. Meno studenti, ma anche meno docenti, considerando che il 59% di questi ultimi è ultra 50enne, e che metà di essi potrebbero andare in pensione. In aggiunta, l’Italia registra anche la quota più bassa di docenti tra i 25 e i 34 anni.

Il 68% degli insegnanti è d’accordo sul fatto che il salario a loro spettante dovrebbe essere aumentato. Lo confermerebbe anche il dato sulla spesa per l’Istruzione, tra i pochi al livello internazionale ad essere più basso del 5% del Pil nazionale: solo il 3,6% del Prodotto Interno Lordo nazionale è, infatti, destinato alle Scuole e all’Università. La spesa per quest’ultima è, inoltre, diminuita del 9% nei primi sei anni dei 2010, quando invece dovrebbe essere un investimento di estrema importanza: La Repubblica conferma, infatti, che gli adulti con un’istruzione universitaria guadagnano il 39% in più rispetto agli adulti diplomati.

“Il report è una conferma di ciò che già sappiamo. Molti ragazzi abbandonano gli studi perché si rassegnano all'idea che studiare non serva a nulla” ha dichiarato ad ANSA il ministro del Miur Lorenzo Fioramonti “In realtà è esattamente l'opposto: studiare in modo innovativo, pratico e accattivante è il modo migliore per garantire maggiore benessere e integrazione sociale”.

Fioramonti ha, pertanto, confermato la necessità di aumentare i fondi pubblici per l’Istruzione, ma ha aggiunto che servirebbe “una narrazione diversa di Paese. Che si liberi della logica del successo facile, della glorificazione dell'ignoranza e del "tronismo”, per recuperare quella dell'impegno e dell'emancipazione”. È necessario, per il Ministro, rafforzare il diritto allo studio e andare di pari passo con una più forte integrazione delle scuole (soprattutto quelle tecniche) e delle università, con i propri territori e con le realtà produttive.

Per fortuna, non tutte le notizie sono negative. I dati positivi riguardano soprattutto il mondo della scuola dell’infanzia: il tasso d'iscrizione scolastica dei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni è del 94%, sopra la media OCSE. Il 72% dei bambini è iscritta presso istituti pubblici, e il rapporto allievi/maestri è migliore della media OCSE: 12 i bambini per maestra, contro la media di 15. Infine, gli studenti universitari che arrivano ad una laurea di primo livello ha maggiori probabilità di iscriversi a un corso di laurea di secondo livello rispetto ad altri Paesi.

(Fonte: La Repubblica / ANSA / TGCom24)