Napoli. Dimensionalisti in vetrina
Intervista all’artista Maria Quagliariello. A Napoli dal 17 al 31 maggio in mostra una sua installazione per Artisti in Vetrina, nella bottega di Gino Ramaglia (di Ivana Vacca)
Quella di Maria Quagliariello (1979) - giovane artista napoletana, che vive e lavora a Napoli - è una installazione dai molteplici significati psico-sociali, i suoi corpi “spogliati da ogni debolezza mentale sono nudi ma consapevoli”, frammentati come in un caleidoscopio, rifiutano qualsiasi definizione. “I Dimensionalisti”, così s’intitola la mostra, curata da Enzo Ramaglia ed inaugurata lunedì 17 maggio presso la storica vetrina in via Broggia a Napoli. Una provocatoria riflessione sull’uomo, sul suo spazio vitale e sulle percezioni cui è esposto da parte di chi lo osserva. All’interno della bottega di Ramaglia la mostra diventa interattiva, un cubo di Rubik, messo a disposizione del pubblico, scompone ulteriormente l’opera.
Il riferimento al gioco diventa frequente, come già nell’opera “L’età contro” presentata, in contemporanea a quella napoletana, per il Premio New York del Centro Diffusione Arte, ed esposta dal 22 al 29 maggio nella Galleria “Il Tempio” di Palermo. Questa volta il gioco citato è la morra cinese, il diffusissimo svago popolare in cui il sasso, la carta o la forbice appaiono affidare alla sorte il proprio destino. Ma nell’opera i materiali si invertono, il sasso è in metallo cromato (bronzo e ottone bagnato in argento), le forbici sono in carta velina e il foglio in marmo statuario di Carrara. Lo stravolgimento semantico devia il processo di comunicazione che ha qui lo scopo di stimolare la critica e produrre un diverso immaginario attraverso l’associazione inconsueta di oggetti e materiali. Ogni esposizione non omette mai un colloquio con il suo pubblico. Di seguito l’intervista in esclusiva all’artista.
Chi sono i dimensionalisti? I Dimensionalisti nascono insieme all’opera stessa, concepita per la vetrina di Gino Ramaglia, si tratta di un neologismo coniato per necessità espressiva, volevo dare un titolo quanto più esplicativo possibile per l’opera volendo rappresentare la mia voglia attuale di poter vivere su più dimensioni, a più livelli. L’opera è costituita da 6 cubi realizzati in vetro e specchio, di diverse misure, la vetrina è “manomessa”, diventa parte integrante dell’opera, trasformandosi essa stessa in un cubo, il numero 7. Ogni cubo è costruito da una relazione logico numerica, ed all’interno sono poste delle foto ritraenti parti fisiche difficilmente definibili. I soggetti, le cui parti sono poste all’interno dei cubi, sono i dimensionalisti, ovvero, coloro che costretti nel perimetro dell’oggetto che li contiene, tuttavia sfuggono ad una definizione di insieme.
Quando è nata la tua inclinazione artistica? Credo da sempre, da bambina non facevo altro che disegnare e scrivere poesie, ho imparato ad usare i colori prima di ogni alta cosa, fa parte di me e mi viene naturale.
Le tue ultime esposizioni sono principalmente installazioni, sculture realizzate in vari materiali, anche con l’uso della fotografia. Hai lavorato anche con altri supporti in passato? Si, per quanto nasca come artista figurativa, ad un certo punto non mi è bastato più posare la matita sul foglio o il pennello sulla tela, ho avuto voglia di andare oltre per rappresentare il mio universo interiore. Adoro sperimentare, non mi piace essere inquadrata ne inquadrarmi, qualsiasi cosa attrae la mia attenzione, dai pastelli a cera per bambini , ad un suono o una luce particolare. Ci è offerto tanto in tutti i momenti, perché non cercare di catturare e sfruttare tutto ciò?
Come il tuo mondo viene trasferito nella pratica artistica? Al momento tutto ciò che vivo e che sento di dovere esorcizzare, seppur in maniera criptica, perché è difficile farsi comprendere a pieno. A volte credo di espormi anche troppo attraverso le mie opere. Ciò mi fa sentire quasi nuda agli occhi del pubblico, poi mi tranquillizzano le espressioni incuriosite ed interrogative di chi osserva.
Ci sono delle esperienze di vita che più di altre hanno condizionato la tua arte e il tuo modo di fare arte? Qualsiasi esperienza viene trasmessa in ciò che faccio, magari il mio percorso è solo un pò insolito rispetto ad altri che fanno arte. Ho lavorato per 7 anni in fabbrica, forse questa al momento è stata l’esperienza più forte.
Una delle tue opere è stata da poco esposta sul Tempio di Apollo nel Parco Archeologico di Cuma, come hai vissuto questa esperienza e in cosa consisteva l’installazione? Quella di Cuma è stata un’esperienza bellissima in un luogo per me sacro, lì mi sento quasi coccolata dalla storia. L’installazione che ho presentato però non voleva essere celebrativa poiché metteva in discussione la relazione tra l’uomo e Dio, attraverso la ripresa del mito di Icaro e Dedalo.
Qual è la tua relazione con Napoli e come è la vita di una giovane artista in questa città, quali sono i suggerimenti che trai da essa e quali le difficoltà che incontri? Napoli è una città straordinaria, con le sue mille difficoltà offre molti stimoli creativi, ma i riscontri sono difficili ed effimeri, per questo perde spesso molti talenti di cui invece dovrebbe essere sostenitrice. Molti artisti altrove riescono ad affermarsi ed a poter vivere del loro lavoro. In Italia credo che non ci sia l’interesse ad offrire tutto ciò, se non ai pochi blasonati eletti.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Sicuramente continuare a studiare per il mio primo amore, ovvero la pittura e il disegno, perché non voglio mai smettere di imparare. Ho vissuto due mesi abbastanza impegnativi dal punto di vista creativo, cominciati con l’esposizione presso l’Acropoli di Cuma per tutto il periodo della settimana della cultura, la successiva a Palazzo Venezia di Napoli, l’attuale vetrina di Ramaglia e la prossima esposizione presso