“Il castello” di Kafka: L’incomprensibilita’ del destino dell’uomo

di Anna Laudati

Lo scrittore di Praga si congeda alla storia con un’opera sublime, il cui scopo è di affrontare l’impenetrabilità delle leggi che sovrastano l’umanità. Un riassunto feroce della situazione dell’uomo contemporaneo. (Vinicio Marchetti)

kafka2

Difficilmente mi è capitato di tenere tra le mani un libro che riuscisse a rendere in maniera così eccelsa il concetto di “incomprensibilità della legge”. Sto parlando di “Il castello” di Franz Kafka, Newton Editore 2006. Quest’opera è il commiato del più celebre interprete della complessità e delle angosce dell’uomo contemporaneo e, come nessun altro dei suoi precedenti lavori, descrive alla perfezione le concezioni proprie del genio kafkiano.

L’ambiguità e il paradosso di cui è pregna la trama conducono il protagonista, l’agrimensore K, a cercare con insistenza e assillo la “trasmissione” con un temuto e soffocante castello che sovrasta la piccola cittadina in cui abita. La magia nasce nel momento in cui Kafka impone al lettore di patire sulla propria pelle il tormento del protagonista, la sua personalità come individuo, nel momento in cui questi si scontra con la “presenza” del castello.

Lapalissiano il messaggio d’incomprensibilità della legge.

Lo scrittore ceco decanta l’assurdità dell’uomo. La cui vita è dominata da una legge, ma una legge che non è dato conoscere. Questo fa nascere una dimensione paradossale, angosciosa in cui l’uomo ne è invischiato. Esiste un meccanismo pesante e poderoso che costringe l’uomo a una lunghissima e inutile serie di disperati tentativi di decifrare il codice della legge che presiede ai destini dell’umanità: nel Castello, questi tentativi risuonano ridicoli come giochi di ombre in stanze non rischiarate dalla luce del sole. L’incomprensibilità e impenetrabilità della legge è tutta compresa in questo vortice letterale.

Alle sue spalle, quasi in penombra, corrono tutti i dubbi e le profondità che danno vita al ventaglio di temi della narrativa di Kafka. Dalla sua penna fuoriusciva il dolore nello stabilire rapporti col mondo che lo circondava, l’inattuabilità dell’essere autentico e, più di ogni altra cosa, la sua condizione di “allontanato”, di “straniero in terra straniera”.

Il protagonista di questa storia si chiama agrimensore K, e il nome è sufficiente per comprendere la totale mancanza di delineazione come individuo. Un riassunto feroce della situazione dell’uomo contemporaneo. Un sunto dell’alienazione di un autore che ha saputo porsi oltre le soglie temporali rendendo attuale un’opera scritta quasi un secolo fa.

Concludo con una citazione di Arthur Schopenhauer che, a mio avviso, rende alla perfezione il pensiero dell’argomento trattato: “All'uomo intellettualmente dotato la solitudine offre due vantaggi: prima di tutto quello di essere con se stesso e, in secondo luogo, quello di non essere con gli altri”.