Charles Bukowski. “Storie di ordinaria follia” il mattatoio del mondo visto con gli occhi della vittima

di Anna Laudati

Lo scrittore statunitense, Charles Bukowski, affronta i finti perbenisti e sputa loro in faccia la crudeltà che affossa l’uomo nelle sue debolezze. Storie di ordinaria follia, uno sconvolgente viaggio in un mondo ultra terreno dove le nefandezze dell’uomo si rivelano per ciò che sono: lo specchio vile delle sue debolezze. (Vinicio Marchetti).

charlesbukowski Oggi vi parlerò del tutto e del niente. Del genio e della sregolatezza. Di un uomo che fu il paradosso di uno stile letterario e di parole che nella storia non vogliono esserci ma che la cui grandezza ha reso impossibile una fuga. Vi parlerò di Charles Bukowski e del suo capolavoro “Storie di ordinaria follia”. Quest’opera fu pubblicata per la prima volta nel 1972 e, da quel momento in poi, la parola “scandalo”, nella letteratura, ebbe il volto e il nome del suo autore.

Storie di ordinaria follia è un insieme di racconti. Racconti che possono descrivere un pazzo innamorato beffardo, tenero, candido, cinico, ma anche nascere da esperienze dure, liquidate tutte di persona, senza comodi alibi sociali e senza falsi pudori. Charles Bukowski, forse un genio, forse un barbone. Anzi, io Charles Bukowski, detto gambe d'elefante, il fallito. Così parlava di se stesso l’autore statunitense; e già questo basta a farci intendere quanto fosse un anarchico pazzoide del pensiero.

I suoi scritti, invece, non potevano nemmeno definirsi componimenti, se vogliamo. Non vi era forma alcuna di sintassi d’autore nei versi che concepiva ma nonostante questo poteva lasciarti strabiliato per la loro grandezza.

E questa, alla fine, è l’anima di Storie di ordinaria follia: la descrizione selvaggia di quegli ubriaconi, barboni e prostitute che vivono di espedienti, troppo lenti per l’arrembante società americana che incita tutti a ricercare il successo.

Quest’opera non è adatta ai cultori dei capolavori classici, ma è tutto ciò che possono desiderare quei lettori sempre votati alla ricerca di un’avventura reale-fantastica del tutto ultra terrena. Racconti che parlano di amori come poesie tra uomini orribili, dentro e fuori, con donne bellissime. Oppure visioni solo apparentemente senza senso che si annidano in uno scenario del tutto dissacrante.

Sembra quasi un insulto ascoltare quegli appellativi che spesso hanno definito Bukowski un parto della “Beat generation”. Per accorgersi del contrario non occorre altro che guardare la sua scrittura con i suoi occhi, diretti, sentimenti laceranti come colpi di pistola che saltano addosso e sconvolgono senza pietà il lettore. Bukowski non aveva nulla di volgare o osceno nel suo talento ma solo una feroce trasudazione del suo disagio interiore.

La rabbia e lo squallore dei protagonisti delle sue storie non fanno altro che innalzare come una maestosa bandiera il dolore della debolezza. Ed è proprio il senso di sconfitta che li accomuna e, il genio letterario di Bukowski, che, nonostante tutto, li trasforma; rendendoli oltremodo speciali…

(Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano).