Il lavoro nobilita l'uomo e lo rende libero

di Anna Laudati
Lo asserì e lo dimostrò Darwin un secolo e mezzo fa. Nel ventunesimo secolo le giovani generazioni sono frustrate dall’immobilità lavorativa, i più pessimisti in Europa sul proprio futuro, risultano essere proprio i giovani italiani (di Giuseppina Ascione) 

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Rifiutati, sottovalutati, vittime di una società che corre, che bada al profitto facile più che alla qualità, una società che preferisce gli appannaggi della tradizione alla luce dell’innovazione, questa la realtà con cui i giovani oggi devono fare i conti. Sempre più spesso “vittime” di favoritismi, di concorsi e datori di lavoro che piuttosto che a titoli, qualità e talento danno retta a buste e segnalazioni. In questo periodo sui giornali si sono dibattuti ministri e autorità appartenenti al mondo dell’istruzione e della ricerca, si è parlato di “diploma legale”, un titolo che metterebbe tutti i candidati al lavoro sullo stesso piano, a prescindere da quale sia la struttura dove il diploma o la laurea sono stati conseguiti. Non si terrebbe conto  se l’ateneo o l’istituto superiore presso il quale si è studiato si trova al sud o al nord, o se le strutture hanno una tradizione centenaria o appena decennale alle spalle.

Alcuni sostengono che l’eliminazione del valore legale del titolo di studio costituirebbe una svolta meritocratica, che renderebbe più trasparenti i risultati finali dei percorsi di studio e consentirebbe di conoscere il reale valore degli studenti, facilitando i giovani nella ricerca del lavoro e le imprese nella ricerca del lavoratore giusto.

Dai dati emersi dai molti sondaggi che si sono succeduti in questo periodo pare che i giovani Italiani siano i più pessimisti d’ Europa, tutti con una scarsissima fiducia nel futuro che li attende e spesso impegnati in una spasmodica ricerca del lavoro, qualunque esso sia, piuttosto che concentrati verso un unico obiettivo: impegnarsi per trovare il lavoro della vita, quello che piace e che si sogna. Piuttosto, i giovani italiani, fanno affidamento sulle cosiddette “spintarelle”, abituati, ormai ad  escogitare trucchi ed escamotage pur di trovare un lavoro, “un lavoro qualsiasi”. Ed è così che la questione meritocratica e lavorativa va a coincidere con la questione etica, di cittadini che troppo spesso, costretti, preferiscono  scorciatoie e vie traverse per raggiungere i propri “sacrosanti” scopi.

Completamente diversa, l’aria che si respira in Europa. In Francia si chiama “Ascensore Sociale” ed è il metro con cui si misura la democrazia e le pari opportunità che il paese può garantire ai suoi cittadini. In Italia non c’è nulla di simile. La metafora dell’ascensore rappresenta la dinamica di accesso alla formazione, al lavoro, ai ceti da parte di tutti i cittadini. Ma nel nostro paese la permeabilità delle classi sembra ancora molto chiusa, soprattutto per le donne. Le uniche cose che sembrano resistere alle mode, alle crisi economiche e ai sondaggi sono il maschilismo e il familismo. E così generazioni e generazioni di medici, architetti, avvocati, giornalisti si susseguono nei nostri enti come negli ospedali, nei tribunali e persino in tv.

Max Weber all’inizio del secolo scorso scrisse "L’etica protestante e lo spirito del capitalismo". Il libro è la sintesi di una chiara e lucida analisi del perché nei paesi di religione protestante c’è sempre stata una voglia e un’attenzione verso il lavoro, maggiore che altrove. Il motivo è da ricercarsi nei precetti religiosi che vedono il lavoro come nobilitazione dell’animo e via preferenziale per avvicinarsi a Dio. Oggi, invece, piuttosto che opere che spiegano e chiariscono il perché della crescita economica di alcuni paesi ed etnie, facciamo i conti con un’intera letteratura che ci illustra perché le nuove generazioni sono lavorativamente immobili, perché i giovani devono fare i conti con un paese che o non gli rende merito o non può rendergli merito delle proprie qualità e capacità, comunque il risultato è sempre lo stesso.