Sfida di una scuola di Latina. L'educazione non formale

di Anna Laudati

Lucia Renzi, insegnante di Italiano e Storia presso il Liceo Politecnico Sani-Salvemini di Latina, ci introduce in un progetto di partecipazione e  attività scolastica rivoluzionario e all’avanguardia nel contrastato e ancora sconosciuto Universo scuola (di Gianfranco Mingione )

la_prof.ssa_rienzi_e_gli_allievi_partecipanti_al_progetto.jpg“Io credo – afferma la docente - che i ragazzi debbano essere aiutati anche in maniera informale nel sentirsi persone capaci di pensare e di essere cittadini attivi all’interno della scuola”. L’intervista è stata realizzata durante il primo giorno tra campanelli e ultimi minuti di un sabato di Novembre, mentre in un’aula didattica si stava svolgendo una formazione da parte di giovani educatori (non formal trainers) dell’associazione Aim Giosef -  Agenzia Intercultura e Mobilità di Roma.

Come e perché nasce questo progetto? Il progetto nasce in seno al progetto ministeriale ScuolaEuropa2010, riflessione sulle competenza chiave della scuola del XXI secolo e si è sviluppato durante gli ultimi mesi con l’obiettivo preciso di creare uno spazio, cha abbiamo chiamato, News from Europe autogestito e dedicato solo ed esclusivamente agli studenti. In sé il progetto rappresenta una sfida quotidiana non facile da capire per i ragazzi ma soprattutto, non facile da accettare dai miei stessi colleghi. La riflessione sulle competenze trasversali che l’Europa ha suggerito alle scuole italiane è ancora un muro alto da superare soprattutto in una piccola scuola di provincia. L’interazione con l’esterno e lo sviluppo di competenze sia per quanto concerne il lavoro, la creatività, lo spirito di imprenditorialità, ma anche il senso critico sono linee guida non scontate all’interno dei normali programmi didattici. Siamo nella fase critica in cui i ragazzi stessi hanno l’opportunità di capire e riconoscere il proprio ruolo all’interno dell’”open space” a loro dedicato, per questo ho chiesto ai due formatori Aim di lavorare con loro come facilitatori. Li ho visti all’opera all’interno di seminari istituzionali e mi sono piaciuti molto, il preside stesso è molto contento di investire verso questi obiettivi.

 

Come state affrontando questo progetto? La scuola in questo momento sta soffrendo, anche perché l’opinione pubblica non è molto ben disposta nei confronti della scuola in generale. Gli insegnanti dovrebbero avere maggiore tempo e spazio per potersi aggiornare e formulare la loro disciplina perché è solo da qui che può nascere una scuola altra, una scuola diversa. E’ impensabile che nella scuola si possano di volta in volta inserire delle attività aggiuntive che si slegano da quello che è poi il progetto educativo complessivo. Io credo che la scuola sia una comunità di eguali. La scuola ha ancora un ruolo molto importante: quello di fare gli italiani. Oggi, abbiamo ancora un Italia senza italiani per cui è impensabile che la scuola possa essere affidata ai privati o alle fondazioni perché l’unità nazionale, e soprattutto la cittadinanza, bisogna costruirla dando pari opportunità a tutte le aree  geografiche, nello stesso modo.

 

Come i ragazzi si riappropriano della scuola attraverso gli “spazi autogestiti”? I ragazzi hanno bisogno di mobilità fisica, di riappropriarsi degli spazi della scuola. Uscire e entrare dai laboratori così come avere anche delle ore in più per poter rielaborare ciò che hanno affrontato a scuola. Ecco perché abbiamo pensato di dedicare uno spazio della nostra struttura – essendo questa molto ampia – a spazio autogestito dagli studenti. Uno spazio dove i ragazzi possono accedere, grazie agli strumenti che sono lì a loro disposizione, a delle informazioni e di volta  in volta farsi promotori di quelle informazioni.

il_manifesto_degli_alunni_europei.jpgI ragazzi, protagonisti in prima persona, come stanno rispondendo? I ragazzi rispondono bene anche se ci vuole una grande forza fisica da parte dell’insegnante. Il segreto sta nel non far percepire loro che si stia facendo altro, perché passata la contentezza iniziale per un qualcosa di nuovo, poi pensano che sia una cosa inutile. Invece, reagiscono bene quando capiscono che questa novità formativa e culturale è funzionale a tutta la loro vita scolastica, ma soprattutto a quella dell’apprendimento lungo l’intero arco della loro vita. Qui imparano a fare delle cose che poi dovranno fare subito nel mondo del lavoro. Quali sono le sue aspettative per il futuro del progetto? Io non sono sicura dei risultato a breve termine, perché credo sempre in quelli a lungo termine. Ci troviamo ancora di fronte a un qualcosa verso la quale i ragazzi si sentono ancora intimiditi e disorientati. Questo, d’altrocanto, sprona noi docenti a lavorare sempre di più. La mia sfida è questa: vorrei che per la  fine dell’anno, o per gli anni a venire, siano i ragazzi a organizzare delle attività senza più l’ausilio o lo stimolo degli insegnanti. I formatori giovani creano un ponte tra educazione formale e non formale, la mia idea è di continuare verso una progettualità condivisa con loro e coinvolgere i ragazzi. C’è ancora tanta strada da fare soprattutto con i miei stessi colleghi, la mentalità di provincia è difficile da scalfire e da aprire, ma ho molta fiducia nei ragazzi e in quello che uscirà dalla formazione di questi due giorni intensi e, perché no, anche divertenti.