Arte a Napoli. Herculaneum in mostra dopo tre secoli di scoperte

di Anna Laudati

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, tra divinità e imperatori, illustri e comuni cittadini, rivive il fascino dell’antica città vesuviana. “Ercolano. Tre secoli di scoperte” in mostra fino al 13 aprile (di Ivana Vacca)

mostra_al_mann.jpgMitico è il legame con la figura del forte e coraggioso figlio di Zeus, ad Ercole infatti è legata la fondazione della città vesuviana, forse di origine greca. Altre fonti riportano una dominazione osca, etrusca e poi sannita prima che la città divenisse municipio sotto il potere di Roma, ma aldilà del mito e delle origini incerte, Herculaneum attirò in epoca repubblicana i patrizi romani, che qui edificarono sontuose ville e innalzarono grandiose opere pubbliche.

L’antica città ricca e fertile è oggi nota in tutto il mondo per aver condiviso lo stesso tragico epilogo con le vicine Pompei e Oplontis durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. Nel caso di Ercolano però il fenomeno vulcanico ci ha restituito un unicum per ciò che riguarda lo straordinario stato di conservazione dei suoi resti. Grandi quantità di fango, ceneri e altri materiali eruttivi trascinati dall’acqua piovana e con una temperatura di 400° seppellirono cose e persone consolidandosi in uno strato duro e compatto di circa 20 metri che tutto sigillò senza ricambio di ossigeno e quindi senza rischio di alterazione. Il tempo sembra così essersi fermato a quella tragica notte del 79 e la storia riprende per caso, agli inizi de 1700, quando durante gli scavi di un pozzo, ci si imbatté nel muro di scena del teatro. 

Il susseguirsi della varie fasi di scavo e dei più grandi ritrovamenti è offerto oggi al pubblico attraverso la mostra allestita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Promossa dalla soprintendenza unificata per i beni archeologici di Napoli e Pompei, e finanziata dalla Regione Campania, è stata curata da Pietro Giovanni Guzzo, Maria Paola Guidobaldi e Maria Rosaria Borriello. L’allestimento propone un evocativo e scenografico percorso di luci, partendo dal bagliore che illumina le figure degli dei, degli eroi e delle dinastie imperiali. Sulla destra le erme, i rilievi e le pitture su marmo ci restituiscono le figure mitiche che mostrano le influenze dal mondo ellenico.

Dagli scavi del periodo borbonico provengono le erme di Afrodite, di Atena, di Arianna e la testa di Dioniso. Dalla Villa dei Papiri, la statua di Demetra e la splendida testa di Amazzone, uno dei pezzi più ricchi di fascino tra quelli esposti, ancora con l’antica policromia color vermiglio tra i capelli e sugli occhi. Sulla sinistra le pitture e le rappresentazioni delle dinastie imperiali, accanto ai bustini in lamina d’argento di Livia e di Galba si impongono le grandi sculture in marmo e bronzo, dall’Augusteum i tre imperatori Augusto, Claudio e Tito, dal Teatro le tre dame bronzee, Livia, Antonia Minore e Agrippina Minore. Si prosegue con una luce in graduale diminuzione e il maggior impatto visivo è dato dalle due statue equestri che dominano il corridoio centrale, dedicate al senatore Marco Nonio Balbo, famoso per aver fatto costruire la Basilica Noniana. Esse testimoniano i grandi atti di munificenza privata volti ad abbellire la città e celebrare imperatori o cittadini illustri. In fondo alla sala altre opere provenienti dalla Villa dei Papiri, tra ritratti marmorei di filosofi e dinasti ellenistici, corridori, danzatrici e figure legate al mondo dionisiaco.

Al piano superiore la luce soffusa avvolge i ritratti scolpiti della gente comune, accostati a dei frammenti epigrafici contenenti le liste dei cittadini ercolanesi (cd. Albi degli Augustali) e tavolette carbonizzate. Più avanti le tenebre e i calchi degli scheletri dei fuggiaschi che avevano cercato rifugio in un fornice dell’antica spiaggia. “Dei loro occhi abbacinati prima e poi bruciati da quella fatale grande luce che li sprofondò in un buio senza ritorno, rimangono le vuote occhiaie, pozzi di una disperazione senza riscatto”.