Cinema. Tutta colpa di Giuda

di Raffaella Mossa
Come avrebbe fatto Gesù a morire se non ci fosse stato Giuda?  Religione, teatro e carcere a passo di danza. (di Raffaella Mossa) 

Tutta colpa di Giuda è una commedia musicale, o meglio una commedia con musica, come recita la locandina stessa dell’ultimo lavoro di Davide Ferrario. Protagonisti del film il carcere, la religione e il teatro, visti attraverso la vicenda di una giovane regista d’avanguardia Irena Mirkovic (Kasia Smutniak). È infatti lei che si trova a dirigere dei detenuti per un progetto in collaborazione con don Iridio (Gianluca Gobbi) per la messa in scena di una “Passione Pasquale”.

1239024028366_francesco-signa-in-una-scena-del-film-tutta-colpa-di-giuda-109976.jpgFondamentale risulterà l’incontro tra Irena e il direttore del carcere Libero Tarsitano (Fabio Troiano) che porterà la regista a chiudere la sua relazione con il fidanzato Cristiano (interpretato dal leader dei Marlene Kuntz Cristiano Godano). I problemi cominciano con l’assegnazione del ruolo di Giuda, mal visto da tutti gli ospiti dell’istituto, e continuano con le divergenze d’opinione tra Irena e i due religiosi del film: don Iridio e la inflessibile suor Bonaria (una inaspettata Luciana Littizzetto). Ferrario ha scelto di lavorare con i veri detenuti dell’istituto penitenziario di Torino affiancati da alcuni attori professionisti, proseguendo un’esperienza che conduce oramai da anni come autore di progetti teatrali e che gli ha permesso di esprimere con cognizione di causa sia il punto di vista del regista che quello degli attori - detenuti. Ferrario ritiene molto importante questo tipo di attività che tra le altre cose permette di rimettere in circolo delle esperienze umane che altrimenti andrebbero sprecate. Tutta la vicenda assume anche un risvolto paradossale (integrato nel racconto) giacché alcuni neo attori hanno ricevuto l’Indulto durante le riprese lasciando il regista orfano di interpreti.Lavorare in una struttura come questa comporta, come è facilmente immaginabile, delle difficoltà, bisogna confrontarsi con una realtà molto lontana dal quotidiano di una persona “libera”, oltre al fatto che al termine delle riprese c’è chi rimane e chi va via. Ma anche all’interno stesso dell’istituto si entra in contatto con personalità e modi di reagire molto differenti: «c’è quello che si ammazza e quello che vuole vivere a tutti i costi, il carcere è questa tensione» afferma Ferrario in un’intervista in cui sottolinea anche la necessità di saper affrontare e reagire ogni giorno ad evenienze diverse. Non è da trascurare, in tutto il processo creativo, anche un aspetto ludico e prettamente fisico poiché, trattandosi di una sorta di musical, gli attori hanno dovuto misurarsi anche con il ballo. I detenuti inizialmente hanno vissuto questa fase come un attacco alla loro virilità e non c’è da stupirsene, ma dal momento che il loro spazio vitale è ridotto al minimo e le possibilità di movimento esigue diventa infine una forma di espressione liberatoria al punto da richiedere alla coreografa delle lezioni extra.

Detta in questi termini  sembrerebbe il carcere il posto che determina la storia, ma Ferrario tiene a specificare che «la storia è piuttosto un excursus sulla religione». Ed è in effetti da un pensiero filosofico che è partita l’idea del film: come avrebbe fatto Gesù a morire se non ci fosse stato Giuda? La risposta prova a darla Irena pensando ad un finale alternativo per la storia di Gesù, una interpretazione diversa, ottimista, senza traditori e sofferenza. Due ultime curiosità: la figura del direttore del penitenziario è stata modellata su quella di Luigi Pagano a lungo direttore del carcere milanese di San Vittore mentre la colonna sonora è stata curata dai Marlene Kuntz.