Una mostra, all’interno del festival internazionale di architettura e media di Firenze ha reso protagoniste una ventina di scuole di architettura di tutto il mondo. Ne abbiamo parlato con la curatrice Paola Giaconia (di Andrea Sottero)
Si è svolto dal 9 al 17 Luglio a Firenze, presso i locali dell’ottocentesca ex Stazione Leopolda il Festival Internazionale dell’architettura e media. Beyond Media, giunta ormai alla sua nona edizione, è un evento diventato punto di riferimento per appassionati ed esperti, capace di svelare le nuove tendenze e le sinergie che si vanno creando tra due campi in apparenza così diversi -eppure sempre più vicini e complementari- come l’architettura e la comunicazione.
L’edizione di quest’anno si proponeva di mettere in luce non solo le enormi opportunità che si creano dalla collaborazione attiva e costante tra i due settori, ma anche le problematiche che possono nascere quando la spettacolarizzazione progettuale offusca la visione d’insieme della rappresentazione architettonica. Di qui il titolo dell’edizione “Visions”. All’interno del ricco programma, numerosi sono stati gli eventi che hanno permesso un dialogo concreto tra gli interlocutori, che si facevano interpreti di istanze talvolta diverse. Al dibattito non potevano mancare naturalmente i giovani, che, quando si parla di nuove tendenze e forme di comunicazione innovative, rappresentano indiscutibilmente la frontiera a cui guardare e a cui rivolgersi. Workshops dedicati ai bambini e ai ragazzi, con attività didattiche che introducevano alla geometria e all’architettura, hanno coinvolto i visitatori più piccoli, mentre architetti e artisti emergenti hanno potuto interagire tra di loro e con il pubblico attraverso le loro stesse installazioni. Significativa, poi, la mostra “Spot on Schools” che ha raccontato, attraverso l’esperienza di diciannove scuole di architettura selezionate in tutto il mondo, tra cui il Politecnico di Torino, la facoltà di architettura di Pescara e la NABA di Milano, come le nuove tecnologie influenzano sempre di più le varie fasi della progettazione architettonica.
Dott.sa Giaconia, delle 19 scuole selezionate per la mostra ben 3 sono italiane. Si tratta del campanilismo di una curatrice italiana o le realtà accademiche del nostro Paese sono davvero all’avanguardia in termini di sperimentazione? No, campanilismo direi proprio di no. La mostra è alla sua terza edizione e la partecipazione di scuole italiane nelle prime due edizioni è stata davvero esigua, pur avendo io contattato diversi docenti italiani anche importanti che meritavano senz’altro di essere invitati. La realtà è che in passato non c’è stato proprio modo di coinvolgerli. Quest’anno, forse anche perché la mostra è cresciuta in importanza e in risonanza internazionale c’è stato, invece, un riscontro più positivo. Il Politecnico di Torino, ad esempio, ha partecipato con due corsi. Uno, quello del prof. Giancarlo Motta è un corso di progettazione di tipo tradizionalista in termini di esiti estetici del progetto. Il professore ha però concepito una piattaforma online che consente agli studenti di condividere il proprio lavoro individuale con i compagni e con il docente. Questo fa sì che abbiano a disposizione una sorta di database online, grazie al quale possono commentare a distanza i lavori e vedere i progressi che ognuno di loro sta compiendo sul progetto. Si crea, cioè, una vera e propria community virtuale. L’altro corso, invece, quello condotto da Mario Sassone, si focalizza sullo studio di organismi viventi, di cui gli studenti analizzano le proprietà strutturali per poi applicarle al loro progetto. L’aspetto interessante è che riescono a realizzare dei prototipi in scala 1:1
Senta, ma secondo lei, oggi, si fa più sperimentazione architettonica nelle università o nei grandi studi di architettura? La sperimentazione più fresca ed energica viene quasi sempre dalle università. Per quanto ci riguarda, il Festival di Architettura che nasce nel 1997 è sempre stato interessato ai lavori prodotti all’interno delle scuole. Il Festival è nato intorno al video di architettura, video inteso non tanto come strumento per la documentazione di progetti architettonici, ma come strumento stesso di progettazione: l’architetto così come disegna, così come schizza, realizza il video. La maggior parte di questi video erano sviluppati soprattutto da studenti alla ricerca di nuovi linguaggi e di nuovi mezzi espressivi. Dal 2003 il festival, che intanto è cresciuto in dimensioni e importanza, ha poi deciso di dedicare una finestra alle scuole attraverso la mostra. Comunque molto spesso i progetti che si studiano nei laboratori delle università vengono concretamente realizzati a stretto contatto con il mondo professionale e industriale. Tra i lavori presentati alla mostra di quest’anno, vi sono ad esempio quelli della Ball State University, che è una scuola dell’Indiana, uno stato americano poco conosciuto e di certo non agli onori della cronaca per l’eccellenza accademica e il dinamismo imprenditoriale. All’interno della scuola c’è un laboratorio di fabbricazione digitale che permette agli studenti di lavorare a stretto contatto con l’industria locale, costituita principalmente da attività artigianali di lavorazione del legno. La scuola è riuscita ad allacciare una collaborazione proficua con quest’industria locale, che sponsorizza la ricerca fatta all’interno del laboratorio: gli studenti progettano degli oggetti di design, li disegnano al computer e li realizzano poi con il taglio laser, quindi mediante standardizzazione, all’interno delle stesse aziende.
Che è anche un modo efficace per procurare fondi alla stessa università, giusto? Sicuramente, ma soprattutto è un modo per garantire uno sbocco professionale agli studenti una volta che escono dall’università. Beyond Media pone l’accento sulle sinergie che si possono creare tra il mondo della comunicazione e l’architettura. Quanto è importante oggi l’interdisciplinarità per un architetto? L’interdisciplinarità è fondamentale. Lo è sempre stata, oggi forse lo è ancora di più. La disciplina è diventata più complessa e l’architetto si deve pertanto avvalere del supporto di esperti in altri campi e comunque avere una conoscenza almeno di base di cosa accade in questi altri settori. Io che mi sono occupata della mostra sulle scuole e quindi posso parlare più nel dettaglio di quella, devo dire che in quasi tutti i lavori presentati è molto evidente l’aspetto interdisciplinare. La University of Hong Kong, per esempio, ha presentato i lavori di un loro workshop nel quale hanno utilizzato come applicazioni per la progettazione software normalmente impiegati nell’industria del cinema. Quindi stiamo parlando di un’interdisciplinarità che talvolta è tecnica, come in questo caso, talvolta è più teorica. Ci sono docenti, ad esempio, che hanno un forte interesse per l’ambito artistico e coniugano nel loro approccio progettuale l’analisi strutturale e funzionale con quella più prettamente artistica.
Oggi nel mondo dell’architettura in Italia c’è spazio per i giovani e le loro idee? È domanda un po’ cattiva. Io ho vissuto all’estero, in California per l’esattezza, per diversi anni, sia da studente che come giovane laureata in architettura con una mia attività professionale. E devo dire che le possibilità all’interno dell’ambito accademico e nel mondo professionale sono indubbiamente maggiori. Nelle nostre università l’età media dei docenti è palesemente alta. Mentre la University di Hong Kong mi ha stupito: il dipartimento di architettura è retto da una persona che ha meno di 40 anni e che ha un ruolo importantissimo all’interno della scuola. Chiaramente ha delle capacità straordinarie. Il direttore del laboratorio di fabbricazione digitale della Ball State University ha poco più di 40 anni. Sono persone giovani, cariche di energie e voglia di fare e che hanno comunque davanti a sé grandi possibilità. Insomma penso che forse fuori dall’Italia qualche possibilità in più ci sia. Poi naturalmente per chi ha tanta voglia di fare ci sono opportunità anche in Italia. Io ad esempio sono tornata.
Con alle spalle la sua esperienza all’estero… Con l’esperienza dell’estero che è stata sicuramente molto arricchente, ma forse anche con la voglia di tornare…