Che fine hanno fatto cultura e spettacolo nei programmi elettorali?

di Anna Laudati

Passeggiata tra i buoni propositi dei neogovernatori (di Paola Pepe)

bandiera-italiana.jpgIn Italia il settore cultura e spettacolo ha, al pari di molti altri, la necessità urgente di riacquistare una nuova articolazione e, soprattutto, una programmazione approfondita che nasca da analisi serie e dal confronto di idee, da suggerimenti e stimoli diversi, da pluralità di proposte e di interventi. Certo è, che la lettura di alcuni capitoli, nei programmi dei neoeletti Presidenti alle recenti elezioni regionali, è uno spaccato sconfortante del nostro stivale, in cui la cultura e specialmente lo spettacolo dal vivo occupano il posto di uno zerbino.

Pochissimo spazio nei programmi elettorali e pochi approfondimenti. Colpa di promesse frettolose di candidati a caccia di voti? Colpa, forse, di uffici stampa e consiglieri poco attenti, impegnati a riempire i programmi di belle parole e frasi fatte? Fortunatamente le eccezioni ci sono, sia a destra che a sinistra: Caldoro in Campania o Rossi in Toscana che vuole “favorire una politica culturale innovativa per il teatro, la musica, la danza, il cinema e le arti contemporanee: un obiettivo raggiungibile grazie alla sinergia tra design, moda, architettura, grafica, web design, editoria, comunicazione, organizzazione di eventi, marketing e pop art”; ancora Nichi Vendola per cui le politiche culturali della Regione Puglia si iscrivono nel contesto delle dimensioni strategiche dello sviluppo territoriale.

Per quasi tutti gli altri neogovernatori, da nord a sud, a destra e a manca, il programma culturale è solo un elenco infinito di bisogni, senza proposte concrete e, purtroppo, senza soluzioni. Insomma, nel complesso si ha davvero l'impressione che ben pochi di loro siano partiti da un'analisi accurata del proprio territorio e dei cittadini, che ne abbiamo interpretato i bisogni più profondi garantendo risposte degne di un mondo in evoluzione, veramente aperto alle diversità culturali e sociali. In un particolare momento storico in cui la massificazione e il livellamento del pensiero si impongono come gli unici modelli, la visione della cultura e dello spettacolo non può ridursi né all'idea che il nostro paese sia solo un enorme museo da preservare, né che una proposta di governo sia un’elencazione di eventi più o meno grandi, o un indice amorfo di iniziative radicate non si sa bene dove.

La progettazione dei percorsi di sviluppo culturale, passa attraverso analisi approfondite che intersecano territori, civiltà, tradizioni, innovazioni, capacità di apertura verso la modernità e soprattutto scelte coraggiose, che sappiano andare anche contro corrente. Il Trattato di Maastricht e la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea sanciscono l'importanza di favorire e potenziare le dinamiche culturali e lo sviluppo del patrimonio come base per l'identità e l'unione dei popoli europei. Partendo da questo scenario, la progettazione culturale dovrebbe avere come fondamento l'agire in una prospettiva di multidisciplinarietà in cui quadri normativi, saperi e capacità si intreccino con processi amministrativi, economici e sociali di pianificazione territoriale e di marketing. La superficialità nella programmazione culturale dei nostri Governatori, la dice lunga sul rapporto fra politica ed elettorato e soprattutto dice molto dello stato in cui versa il nostro paese. Un paese che sta progressivamente perdendo il senso della conoscenza e dell'utilità che essa riveste per il progresso sociale, umano ed economico.

Chi per governare chiede la fiducia dei cittadini, dovrebbe interpretarne i bisogni e fornire risposte concrete. Molte regioni in Italia attendono addirittura i servizi primari per lo spettacolo e per il turismo e soprattutto la piena valorizzazione delle proprie risorse culturali materiali e immateriali. Far crescere un territorio non significa semplicemente programmare grandi eventi spettacolari, ma costruire realtà concrete, incrementare l’occupazione e le risorse del territorio. E i progetti culturali dovrebbero essere la testimonianza di scelte significative. La politica sarà veramente in grado si essere attore in questo cambiamento?