L'intervista. A Cassinetta di Lugagnano si sperimenta l'Italia che verrà
Con il sindaco di Cassinetta, Domenico Finiguerra, ripercorriamo le strade di un sogno diventato realtà; di uno dei tanti piccoli, grandi esempi dal basso che stanno cambiando, seppur tra mille insidie e difficoltà, il volto dell’Italia e del mondo (di Gianfranco Mingione)
Succede a Cassinetta, piccolo comune di quasi mille abitanti, dove una generazione di giovani ambiziosi e pragmatici sta mettendo in pratica un modello di crescita e sviluppo territoriale ecosostenibile. Un modello di sviluppo che sceglie la tutela del territorio, la salvaguardia dell’ambiente, il dialogo con i cittadini su scelte importanti non solo per il nostro presente ma soprattutto per il futuro dei nostri figli. E’ il ritratto di un’Italia che cresce con un modello alternativo, che si basa sulla realtà dei fatti e il confronto tra le parti: “I giovani - afferma Domenico Finiguerra - devono appropriarsi della politica (…) All'epoca della nostra prima elezione non avevamo neanche trentanni. Abbiamo avuto una grande opportunità di lanciare un sassolino nello stagno. L'abbiamo fatto e stiamo osservando che le onde provocate possono anche arrivare lontano e raggiungere angoli lontani del dibattito politico”.
Sindaco, Cassinetta di Lugagnano è un piccolo paese non molto distante da Milano che in tema di sviluppo ecosostenibile ha adottato un piano di governo del territorio a crescita zero. Detta così potrebbe sembrare una cosa negativa se riferita meramente ad un’ottica contemporanea d’intendere la crescita economica. Invece, nel vostro comune si sta concretizzando come un grande esempio di sviluppo ecosostenibile. In cosa consiste questa strategia? Domenico Finiguerra. Più che di strategia parlerei di scelta responsabile. Direi di buon senso. Cosa che di questi tempi sembra quasi rivoluzionaria, come la verità. Abbiamo deciso di fermare il consumo di suolo agricolo per diversi motivi. Innanzitutto perché crediamo che la terra ci serva per vivere. La nostra impronta ecologica è tre volte la nostra disponibilità di terra. Per sostenere noi Italiani, con il nostro stile di vita, le nostre abitudini, le nostre passioni e i nostri vizi, ci servirebbero almeno altre tre Italie, secondo il dato che emerge dal Living Planet Report del 2008 del WWF.
Ciò significa che stiamo come stiamo e viviamo come viviamo, perché qualcuno, mette a nostra disposizione (volente o nolente) ciò che da noi comincia a scarseggiare: la terra. Senza troppi giri di parole, noi italiani viviamo godendo di terra non italiana. E noi lombardi, viviamo di terra non padana. In secondo luogo perché non si può crescere all'infinito. Solo gli stupidi o gli illusi possono credere di poter continuare a costruire all'infinito. Prima o poi la terra a disposizione finisce. Poi perché il consumo di territorio sta impoverendo il Paese, sia culturalmente e sia dal punto di vista strettamente patrimoniale. Come tutti i sindaci d’Italia, anche io ho giurato sulla Costituzione della Repubblica Italiana. Per ben due volte, nel 2002 e nel 2007. Ho giurato in nome e per conto di tutti i miei compagni di viaggio della lista civica “Per Cassinetta”, prendendo un impegno per la comunità e per il pezzo d’Italia che abbiamo avuto l’onore e la fortuna di poter amministrare. Un giuramento su tutti i suoi articoli. Ma ne voglio ricordare uno in particolare: l'Art. 9.
Esso recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione”. In questo comma, i padri costituenti hanno voluto mettere in guardia dal grande rischio che non solo abbiamo corso ma che si è materialmente realizzato sotto i nostri occhi negli ultimi 60 anni. Il paesaggio italiano, l’ambiente, il patrimonio storico e artistico dello stivale erano considerati l’anima stessa dell’Italia. In quelle 11 parole viene sancito un impegno della Repubblica a salvaguardare l’essenza stessa del nostro Paese. Peccato però, che fin dall’immediato dopoguerra è partita la cavalcata del cemento. All’inizio vi era la giusta necessità di ricostruire la nazione, di rimetterlo in moto. Ma a partire dagli anni ‘60 si sono allungate dappertutto Mani sulle Città, ed oggi appare sempre più sostanziale e reale un articolo 1 dell’altra costituzione: L’Italia è una Repubblica fondata sul cemento.
Con la nostra scelta, rivolgiamo implicitamente una domanda a tutti i sindaci e a tutti i politici che paiono soffrire di agorafobia se non vedono un capannone in costruzione o un piano di lottizzazione: “Ma non è ora di smetterla? Non è giunto il momento di assumere con responsabilità un nuovo impegno? Perché non facciamo respirare un pò la nostra terra d’Italia?! Terminati gli oneri di urbanizzazione, resteranno solo macerie, e saranno i nostri figli a doverle rimuovere. Oppure quando chiederanno conto del disastro ambientale, del dissesto idrogeologica, del patrimonio artistico e paesaggistico andato perso e sprofondato in mille voragini, vi accontenterete di fare spallucce guardando da un’altra parte?”
Perché i comuni, generalmente, danno molto importanza “al soldo del mattone” senza il quale sembrerebbe impossibile far quadrare le casse comunali? Il Testo Unico degli Enti Locali (art. 13) lo afferma chiaramente: spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano l’assetto e l’utilizzo del territorio. In realtà i comuni e i loro sindaci hanno abdicato, o sono stati destituiti, dal ruolo di gestori del territorio.
Da almeno due decenni si assiste a politiche urbanistiche pensate e orientate non dalla competente autorità comunale, nell’interesse generale della collettività, bensì dai grandi operatori immobiliari che, ovviamente, perseguono i loro legittimi interessi privati. Come? I comuni versano in condizioni economiche precarie e le leggi finanziarie, anno dopo anno, si sono distinte per ingenti tagli agli enti locali. L'abolizione dell'ICI ha provocato un ulteriore aggravamento della situazione. Entrate in costante diminuzione e uscite in costante aumento producono bilanci in continuo e forte squilibrio. In assenza di una reale autonomia finanziaria, per un sindaco e la sua giunta, è sempre più difficile far quadrare i conti, realizzare le opere pubbliche, garantire ai cittadini servizi indispensabili e costruirsi il consenso presso gli elettori. Se poi l’attività amministrativa è ispirata da manie di grandezza diventa ancora più difficile trovare le risorse necessarie. Alcuni sindaci si sentono obbligati a dover lasciare la loro impronta (di solito poco ecologica...) e promettono oltre misura: palazzetti, piscine, centri civici, bowling, rotonde, eventi e appuntamenti autoreferenziali.
Quindi, come riuscire a chiudere il bilancio in pareggio, realizzare opere pubbliche (necessarie o meno) e organizzare eventi culturali e servizi alla persona (necessari o meno)? Come finanziarie il bilancio comunale in perenne squilibrio e come costruire o consolidare il proprio consenso? La risposta a questa domanda, purtroppo, è spesso molto semplice. Grazie alla legge, che consente di applicare alla parte corrente dei bilanci gli oneri di urbanizzazione e alla disponibilità di territorio in aree geografiche dove l’edilizia rappresenta un valido investimento, si pratica la monetizzazione del territorio, e si cerca il soldo sotto il mattone...
Tutelare la gestione delle risorse primarie come l’acqua e l’ambiente non dovrebbe essere una sfida di tutti e non solo di alcuni? Perché si sceglie di dare troppa importanza al profitto e alla gestione privatistica su beni che difficilmente possono essere quantificati in termini valoriali? Perché è stato smarrito il significato originale della parola Politica. La prima definizione di "politica" risale ad Aristotele ed è legata al termine "polis", che in greco significa la città, la comunità dei cittadini; politica, secondo il filosofo ateniese, significava l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Oggi, purtroppo, la politica è soprattutto lotta per il potere. Potere fine a se stesso. E in questo quadro, tutto è messo al servizio di questo fine. Così, si svendono o si privatizzano beni comuni come la terra o l'acqua. Grazie agli oneri di urbanizzazione che i comuni incassano autorizzando operazioni immobiliari, si acquista consenso presso i cittadini. E' la vecchia politica del Panem et Circenses. Ci si assicura la rielezione o la carriera politica.
Dietro grandi eventi spettacolari, che fanno brillare gli occhi ai cittadini spesso ci sono grandi sponsor che hanno lottizzato periferie urbane. Un meccanismo perverso: tu mi fai costruire, io ti faccio opere pubbliche o ti finanzio il bilancio comunale, tu accresci il tuo consenso, allora poi mi fai ancora costruire e così via. Intanto, però, ai cittadini ignari, nessuno dice che la partita di calcio nel nuovo e luccicante stadio comunale, tra la nazionale cantanti e le vecchie glorie del Paese, con tanto di veline e gabibbi al seguito, è finanziata con il campo di grano o di barbabietole che stava dietro casa loro e che oggi non c'è più.
Tutto questo ha molto poco a che fare con il bene comune, che come giustamente viene fatto notare nella domanda, non può essere assoggettato alle logiche del mercato e del profitto. Tutelare i beni comuni dovrebbe essere obbligo morale, ma oggi, gli obblighi morali non hanno più dignità e spazio nel dibattito politico. Ciò che conta è il mero rispetto formale delle regole. E se occorre violare anche quelle, allora si cerca qualche modo legale per violare la legge stessa.
Come la politica territoriale può essere d’esempio su grande scala e divenire caso di studio positivo? E ancora, i giovani quanto hanno contato nell’adozione e nel sostengo della campagna nazionale da voi promossa “Stop al consumo territoriale?” L'energia rinnovabile è la cartina di tornasole di un diverso modello di sviluppo. Solo se riusciremo a utilizzare con responsabilità ed intelligenza le risorse e l'energia che la natura ci mette a disposizione potremo ristabilire un armonioso equilibrio con la natura stessa e tra gli abitanti della terra. Ma dovremo anche cambiare stili di vita. Cercare di ridurre il nostro impatto, la nostra impronta ecologica. Non possiamo lavarci la coscienza installando un impianto fotovoltaico o solare termico sul tetto e poi continuare come se nulla fosse. Dobbiamo anche rivedere le nostre abitudini e chiedere alla politica di cambiare strada. L'energia pulita è una gamba dello sgabello, le altre due sono la riduzione dei consumi e la consapevolezza che diventa opinione pubblica che a sua volta può trasformarsi in volontà politica. I giovani devono appropriarsi della politica. La campagna Stop al Consumo di Territorio è una campagna che potrebbe diventare un manifesto per l'irruzione dei giovani nella politica.
Dire basta alla speculazione edilizia, al saccheggio del territorio, alla devastazione ambientale e allo scempio che ha portato solo bruttezze e dissesto idrogeologico, all'inquinamento dell'aria (costruire significa anche inquinare), può avere un altissimo significato politico, proprio per i giovani, che potrebbero, anzi dovrebbero essere motori del cambiamento. In prima persona. Perché il mondo o il paese che bisogna pensare e realizzare sarà il loro mondo o il loro paese.Per un'Altra Italia, per un Altro Mondo. Questa è la frase che dà il benvenuto agli internauti che approdano sul suo sito. L’Italia che immagina è quella di Cassinetta? Crede che alla fine riusciremo a cambiare davvero le cose e a combattere fenomeni di speculazione edilizia e abusivismo che cementificano l’anima e i territori del nostro Paese? L'Italia che ho in mente è quella che rinascerebbe se a guidarla fosse la moltitudine di persone per bene che sto incontrando in decine di incontri in giro per tutto il Paese. Cittadini, spesso giovani, che animano comitati, centri sociali, associazioni, liste civiche. Ma anche militanti di base dei partiti, amministratori, studiosi, professori, che mettono in discussione il modello di sviluppo vigente e dominante. Che contestano la società della crescita, del consumismo, del saccheggio del territorio e dei beni comuni, e che affondano i propri convincimenti e le proprie azioni nella consapevolezza che bisogna invertire la rotta.
Se tutte queste realtà, queste “persone per bene” usciranno dalle sale per convegni e dai dibattiti accademici, per dedicarsi alla costruzione di una vera alternativa politica e passeranno all’azione concreta, diventando nuova classe dirigente, per compiere direttamente le scelte necessarie a salvare l’Italia e il pianeta, se si compirà questo salto di livello verso la politica attiva, allora si potrà davvero sperare che l'anima e i territori del nostro Paese possano essere decementificati e restituiti alla loro naturale vocazione e ambizione: essere al servizio del benessere collettivo e della qualità della vita. Dipende solo da noi. Perché la politica è un fenomeno umano. Non televisivo. Per saperne di più sul comune di Cassinetta e sui comuni virtuosi:
www.comune.cassinettadilugagnano.mi.it
http://www.domenicofiniguerra.it/
http://www.comunivirtuosi.org/