"Talento da svendere". 7 in condotta ai giovani talenti italiani

di Anna Laudati

L’ultima finanziaria approvata ha previsto la riduzione del fondo di finanziamento ordinario per la Ricerca di 500 milioni in tre anni. Recensione al libro di Irene Tinagli “Talento da svendere” (di Giuseppina Ascione)

copertina_2.pngE’ da poco uscito il libro di Irene Tinagli “Talento da svendere”, edito da Einaudi. Una accattivante ricerca ed elaborazione di dati che sottolinea il crescente disinteresse che il nostro paese ha nell’incentivare i giovani talenti. La fotografia che ne scaturisce è quella di un Italia sempre meno accorta alla crescita delle aziende, non solo in base alla prospettiva economica ma anche dal punto di vista del rinnovo dei vertici e della mano d’opera.

I dati rilevati dalla Tinagli evidenziano una forte disparità tra i giovani italiani e quelli del resto d’Europa a cominciare dall’istruzione. I nostri ragazzi risultano essere carenti soprattutto dal punto di vista della conoscenza linguistica e informatica.

La possibilità che ha oggi un neolaureato di inserirsi nelle aziende italiane è estremamente limitata, nonostante l’Italia vanti da sempre grandi nomi nell’innovazione tecnica e industriale, pensiamo a Meucci, Volta, Fermi o ai premi Nobel Levi – Montalcini, Dulbecco, Rubbia. Le grandi menti sembrano essere congelate perché sui giovani si investe poco. Basti pensare alle grandi aziende nel campo della tecnologia che si sono andate consolidando in questi anni, ma che poi puntualmente hanno ceduto il passo a colossi dell’industria internazionale, si vedano colossi come Vodafone, Wind, Fastweb o Tiscali.

Il problema è che l’Italia ha smesso di crescere, rinchiudendosi in un limbo fatto di vecchie glorie e trascorsi successi che hanno portato il “made in Italy” ad essere garante di qualità in tutto il mondo. Ma oggi la gloria passata non basta più. Anche il mercato e l’industria hanno bisogno di rinnovarsi, e devono farlo partendo dai giovani talenti, l’Italia ha necessità di investire sulle nuove generazioni puntando su una classe dirigente che possa prendere in mano le redini dell’economia e della politica del nostro paese.

I nostri giovani non devono aver bisogno di emigrare altrove per vedere riconosciuti i sacrifici e gli investimenti fatti per la  formazione e professionalizzazione personale. Ma quali speranze si possono nutrire in un Paese dove l’ultima finanziaria approvata prevede la riduzione del fondo di finanziamento ordinario di 500 milioni in tre anni per i fondi destinati all’Università? L’Università, e soprattutto gli studenti, pagheranno lo scotto di questa nuova disposizione finanziaria. La chiusura delle Sicsi ostacolerà ancora di più quei giovani che vedono nell’insegnamento una possibile opportunità.

Nelle Università non ci saranno nuove assunzioni almeno fino al 2011, le tasse saranno incrementate, soprattutto in quegli Atenei che non vantano accordi con aziende o banche private. In particolare, saranno soprattutto le Università del sud e le facoltà umanistiche a risentire dei tagli. Se questa situazione si fosse verificata pochi anni fa avremmo assistito a manifestazioni, cortei e forme di ribellione da parte degli studenti, quegli stessi studenti che oggi acconsentono tacitamente, pur non condividendolo, a un sistema che sempre troppo spesso li vede tagliati fuori dal mondo del lavoro e che dimostra sempre più di non credere nelle potenzialità e nel valore aggiunto che possono esprimere.