Dalla gioventù bruciata di James Dean alla gioventu' bevuta della generazione 2.0
Stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato è come camminare sul filo del rasoio; così come giocare con le proporzioni che fanno male e stabilire di conseguenza quelle che fanno bene. Ma qui non si tratta solo di proporzioni, bensì di una generazione, quella del presente, dei giovani, uomini del futuro, che trova attraverso ‘il bere’ la sua identità e suoi valori. (di Gianfranco Mingione)
Giovani che ancora ragazzini iniziano a bere quasi per gioco, per sfida, per imitare i loro coetanei o per sentirsi più grandi, più “fighi”. L'Italia in Europa anche in questo ambito non fa una bella figura: i giovani da noi iniziano a bere all'età di undici anni, a differenza dei loro coetanei europei, che in media iniziano a tredici anni. Un primato che ci fa partire in svantaggio, in questo caso uno svantaggio ancor più negativo. Dentro quei numeri ci sono i giovani e loro storie, ed è grazie ad esse che si riesce a comprendere il dilagare di questo fenomeno che ha ormai assunto una rilevanza molto forte sul piano giovanile.
Il bere diviene un modo per non pensare al presente, e ancor di più al proprio domani. Al giovane che vive in periferia manca di tutto: servizi culturali, in primis, servizi sociali ed educativi oltre a quelli di primaria importanza. Quando vivi in questi luoghi desolati e desolanti non importa tanto ciò che si fa e le conseguenze che comporta (il film “Gomorra” docet): diventa troppo facile iniziare a bere per smettere di pensare, per non preoccuparsi al presente asfissiante e alienante.
I social network, nati per favorire la socialità e l'incontro in rete, sono un triste specchio di questo comportamento sociale dilagante. In questi grandi ritrovi virtuali leggiamo dell'esperienza del bere oltre misura, come il binge drinking – ovvero il consumare alcool in modo smisurato -, che accomuna oramai moltissimi giovani che si ritrovano su questi motori della socializzazione online.
Molte sono le iniziative messe in campo per invertire la rotta, per trovare la “strada giusta”, come quella del Festival della Scienza, a Genova dal 23 ottobre al 4 novembre, all’interno del quale, sarà presente un’installazione messa a punto dall’Esercito italiano e da “Orizzonte srl”, mirata a sensibilizzare i giovani alla guida e a far comprendere gli effetti negativi del bere alla guida. La sicurezza stradale è un altro aspetto, importante, che viene messo in pericolo nel momento in cui alla guida vi sono giovani, ma anche non, che abusano di sostanze alcoliche, come delle varie droghe in commercio.
Grazie all’installazione sarà possibile riprodurre su una strada virtuale cosa significa guidare in stato di ubriachezza: il software replica i vari gradi di alcolemia, mostrando la riduzione della visione all’aumentare del tasso alcolemico.
Inutile dire che molte sono le associazioni e le istituzioni che nel sociale cercano di imprimere un segno positivo volto a migliorare la situazione, a veicolare pensieri e modi di socializzazione e di vita salutari, solari e positivi. Ciò non vuol dire che bere sia un male, un danno. Vuol dire che il ‘troppo’ bere, innesca una sorta di gara con se stessi e la propria vita, una gara distruttiva che mette in pericolo la propria e le vite degli altri. La competizione se sana e costruttiva fa crescere e aiuta anche gli altri, ma quando porta all’autolesionismo allora va individuata, isolata nel profilo caratteriale e curata.
Dalle lontane lande della poesia, forse, arriva una mirabile descrizione di quel senso che molti giovani provano nello sfogare i propri risentimenti, problematiche familiari, di lavoro e di moda – dello stare al passo con gli altri – nel bere: una descrizione di questo senso di smarrimento e di solitudine che il noto vate Eugenio Montale lasciava e lascia tutt’ora intravedere dietro alcune parole chiave della sua “Meriggiare pallido e assorto”. Il poeta descriveva nella notissima poesia il suo trascorrere le ore del pomeriggio assorto nei pensieri della calura estiva. Il paesaggio assolato e arido, e come se pietrificasse la vita: il poeta esprimeva il suo isolamento, l’aridità della vita, la solitudine attraverso delle parole che sono espressione un forte senso di esclusione.
Nella conclusione, mirabile, si esplicita l’impossibilità del comunicare con il mondo esterno, del travalicare muri spesso insormontabili:
“E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
Forse il parallelismo è arduo, ma ci sembra che questi giovani, come il poeta in questi versi, abbiano colto il senso o vivano solo l’aspetto frustrante della loro vita. Una prigione dorata, dalla quale evadere con sistemi futili, che sotto una sensazione di sollievo nascondono l’inizio di una vita spezzata, indebolita ancor prima di cominciare a ‘combattere’ per ritagliarsi un posto dignitoso nella società. Ma di chi è la colpa? L’appello a cambiare lo stato dell’arte delle cose è già partito. I giovani devono raggiungere quell’oltre, che nella poesia di Montale viene rappresentato dalle ‘scaglie di mare, oltre quei muri invalicabili’, ‘oltre’ quei cinque versi, ‘oltre’ cui appare uno spiraglio.