Media e diffamazione: inquisiti o inquisitori?

di Anna Laudati
Può Google essere imputabile di concorso in diffamazione aggravata per un video caricato da un utente sul suo servizio di sharing? È plausibile un'ipotesi di responsabilità penale da parte del motore di ricerca per avere ospitato il video sui suoi server? (di Veronica Centamore)  

google.jpgRicorderete sicuramente quel video che fece scalpore in cui uno studente autistico (dell'istituto Albe Steiner di Torino) veniva umiliato e picchiato da quattro compagni (mentre il resto della classe assisteva all’infame spettacolo). I quattro pseudo-registi, di questo horror neorealista, riprendevano il tutto, caricandolo poi nella sezione "immagini divertenti" di Google Video. il “file” sul s ito.   Il video, della durata di tre minuti, è stato poi messo on line dalla ragazza che aveva partecipato all'aggressione.

Nel filmato, uno dei ragazzi indagati sferra pugni e calci al compagno disabile, un altro riprende la scena con la telecamera, un terzo disegna il simbolo "SS" sulla lavagna e fa il saluto fascista. Il ragazzo aggredito rimane in un angolo, immobile, reagendo debolmente alle botte. Al giovane disabile vengono anche tirati oggetti e per ripararsi perde gli occhiali e si china a cercarli affannosamente. Gran parte della classe intanto, seduta tra i banchi, schiamazza, tra l'annoiato e il divertito.

E cosa ancora più grave, nessuno dei presenti si alza per difendere la vittima o per fermare chi lo deride. Ma, ci si chiede: il video shock del ragazzo autistico, al di là delle intenzioni di chi lo ha realizzato e pubblicato, non è stato forse un contributo alla verità? Demonizzare i nuovi media per questo episodio è il solito modo per mettere la testa sotto terra come gli struzzi ed evitare di porsi domande serie, la solita scusa per non affrontare una questione vecchia quanto il mondo. Il bullismo è una piaga antica nelle scuole, così come lo era il nonnismo nelle caserme, e non è certo causato dalla presenza di Google, o di You Tube, o di Internet, c’era già da prima.

Possiamo ragionare sul fatto che queste opportunità tecnologiche (in certi casi) abbiano alimentato alcuni fenomeni di bullismo, soprattutto in un periodo di “grandi fratelli” dove le persone, soprattutto i giovani, vanno alla ricerca del loro momento di celebrità, un po’ come Andy Whorol anticipava, ma se non fosse stato per questa “vetrina”, per questa opportunità di uno a molti, come direbbero gli specialisti di comunicazione, il fatto sarebbe stato denunciato?  É stata proprio la diffusione del video che ha permesso, alla fine, di punire i colpevoli. Infatti i responsabili della scuola conoscevano la prassi delle violenze gratuitamente perpetrate al giovane disabile, il preside aveva anche sporto denuncia, ma nulla era accaduto. Solo ora, in questo clima di indignazione generale, i ragazzi sono stati puniti. "Sono addolorato", ha affermato uno dei quattro ragazzi prima di essere ascoltato dal giudice. "Non trovo le parole - spiega - per definire quanto è successo. Non è nemmeno uno scherzo di pessimo gusto. Posso soltanto dire che non è nata come una cattiveria". Pensa… magari abbiamo travisato uno scambio un po’ spinto di carezze… per un pestaggio di un debole in piena regola. Soluzione punitiva per i quattro colpevoli: aiutare chi ha bisogno come occasione di riscatto. Una sorta di attuazione della legge del contrappasso per i quattro studenti, dieci mesi a servizio dei disabili. Una specie di “volontariato obbligatorio”.   Inoltre, per tutti loro sono state previste sedute dallo psicologo. Si chiama “messa alla prova”: è la pena detentiva che i tribunali italiani sempre più di frequente infliggono ai giovani bulli. Per dar loro una seconda chance. Invece dello spazio stretto di una cella, lo spazio enorme di un’esperienza. Ma quanto questo può essere una “condanna”? Per chi come me lavora con i disabili, questa soluzione non è una espiazione ma semplicemente un premio. Lavorare con le persone che vivono un disagio è soltanto un onore e qualcosa che in tanti, fanno volontariamente e soprattutto gratuitamente.  E’ giusto arrivare a questa modalità di “risoluzione della colpa”? Chissà, forse sbattendo in faccia una certa realtà a chi l’ha sempre ignorata e magari sbeffeggiata, può causare un trauma talmente forte da attuare il cambiamento. Bisogna chiedere ai disabili se vogliono aver a che fare con questa gente, se vogliono regalare l’esperienza meravigliosa del vivergli accanto a questi individui. La disabilità è una ricchezza in quanto sintomatico di una diversità.  Intanto il pm Caiani ha citato a giudizio quattro manager di Google per diffamazione e violazione della privacy. Una vicenda sicuramente destinata a porre molti interrogativi sulla condivisione totale che sembra andare molto in voga oggi.  Per i pm era “loro obbligo impedire la diffusione del filmato controverso”.

Il processo ci sarà il prossimo 3 febbraio. Per i pm Alfredo Robledo e Francesco Caiani, i quattro avevano “un obbligo giuridico di impedire l’evento” e dovevano predisporre una informativa sulla privacy visibile nel momento in cui l’utente caricava il “file” sul sito.