Barack Obama, primo Presidente di colore negli USA
Grande America. In una fredda giornata di inverno, il termometro segnava -1˚ sotto zero – due milioni di persone marciavano sin dall’alba verso il National Mall. Ai piedi del palco allestito per il giuramento del Presidente eletto, una folla oceanica rideva, salutava, cantava e scandiva il nome di Obama e dei vari ospiti che uscivano di volta in volta dal Campidoglio, sede ufficiale dei due rami del Congresso degli Stati Uniti.
Gli americani oggi non piangono i loro morti in Iraq così come non hanno voglia di preoccuparsi del grave andamento dell’economia – anche se a piangere è sempre la borsa che, come in altri giuramenti trascorsi, ha salutato il nuovo Presidente in maniera negativa – sembrano scivolare al secondo posto della scala delle priorità. Al primo posto c’è un vento storico che tutti hanno voglia di sentire sulla propria pelle: l’elezione dell’uomo della “speranza”, del primo afroamericano alla Casa Bianca.
La cerimonia del giuramento è antichissima e ha in sé una forza visiva e simbolica formidabile: come in un dipinto del miglior realismo migliaia di persone accompagnano nei passi di una ritualità antichissima il nuovo inquilino dello studio ovale. Stavolta, però, oltre alla folla immensa che mai a nessun giuramento vi è stata, le immagini di chi osservava questo evento in televisione restituivano qualcosa in più.
Al termine di questi lunghi quattro giorni, che festeggiano in maniera quasi epica il nuovo Presidente della repubblica federale più grande del mondo, vi è stato nel momento del giuramento, e non solo, il senso reale, vero del cambiamento. Un cambiamento significativo testimoniato soprattutto dalla sacralità democratica sprigionata da questa importante investitura. Insieme alla straordinaria energia democratica vota al cambiamento, già vissuta da Obama e dai suoi sostenitori durante la corsa per la nomina a candidato presidenziale per il Partito Democratico, tutto il mondo ha partecipato a tale evento: in nessuna parte del mondo vi è mai stata un’attenzione del genere, neanche nell’elezione di Presidenti di nazioni a loro volta molto importanti.
Il discorso del Presidente non è stato programmatico bensì si è basato sui valori, sulla strada che gli Stati Uniti devono d’ora in avanti seguire: un invito a tutti i cittadini, non solo ai suoi sostenitori della campagna elettorale, a ricostruire l’America assieme. Obama è forte della sua elezione, del modo e della partecipazione con cui è riuscito a raggiungere un traguardo così importante: un traguardo raggiunto grazie a tutti coloro che hanno contribuito a determinare questo momento significativo. E’ in questo che si fonda la speranza nel cambiamento presente nel discorso di Obama.
Le grandi sfide odierne come la crisi economica e il terrorismo possono combattersi solo con l’unione e la coesione di tutto il Paese: “Noi siamo – ha affermato il Presidente durante il suo discorso - una nazione di indù, cristiani, non credenti; noi abbiamo ogni cultura, ogni lingua e proprio perché noi abbiamo saggiato il sapore della segregazione, saremo sempre più forti. Noi crediamo che l’odio un giorno svanirà e che il mondo diventerà sempre più piccolo e l’America deve essere forte per creare una nuova era di pace (…) Noi lavoreremo con voi affinché i vostri campi fioriscano - ha detto sempre il Presidente riferendosi alle genti delle nazioni povere - e a quelle nazioni come la nostra – riferendosi alle nazioni ricche come l’America - noi dobbiamo cambiare (…) Quello che ci serve ora è una nuova era di responsabilità (…) Ricordiamoci quindi chi siamo e quanto abbiamo viaggiato”.
Di rilievo, sempre durante il suo discorso, in riferimento al terrorismo, è stato il voler tendere una mano verso l’Islam che ha voglia di staccarsi dalla spirale violenta e anti-democratica presente in molte aree del globo. Ma la frase più bella e che interpreta in maniera alta e forte l’idea del cambiamento è contenuta anche in un altro passaggio fondamentale del suo discorso, durato appena 18 minuti: “qualcuno di noi sessantanni fa non sarebbe potuto entrare neanche in un ristorante e oggi uno di questi sta prestando giuramento”. Ovvio il riferimento alla segregazione razziale e alla lunga strada compiuta dai neri d’America nei decenni precedenti a questa elezione.
Non è mancata l’attenzione verso la tematica dell’ambiente e verso le nuove tecnologie: sfide di portata, anch’esse, storica. Il primo provvedimento adottato dal Presidente Obama, mercoledì 21 gennaio, dopo i festeggiamenti e i balli di rito del giorno dell’insediamento, riguarda proprio lo stop per quattro mesi ai detenuti di Guantanamo, che sempre secondo il suo programma verrà al più presto chiusa.
Responsabilità e speranza. Una speranza a cui tutto il mondo guarda con apprensione e che, si spera, possa trasformarsi in un reale percorso volto a cambiare il mondo. Proprio come un vecchio e tanto ricorrente adagio ripercorso dal Presidente Obama: Yes, we can! (Si, noi possiamo!).