Amore e disabilità
Si pensi per un attimo a quella soave e talvolta effimera condizione mistica che è l’innamoramento. Quante coppie naufragano nel passaggio dalla fase dell’innamoramento a quella dell’amore, ed è ovvio il motivo. Questa fase richiede un’accettazione profonda dell’altro. Durante la fase estatica dell’innamoramento, quella delle farfalle allo stomaco (per intenderci), si ha la necessità di illudersi, si vede l’altro migliore rispetto a quello che è poi realmente, lo si idealizza, complice pure quel alone di mistero, che lo rende mistico e sensuale, dovuto al fatto che si hanno poche verità sull’altro, anzi, si lascia largo spazio all’immaginazione che quasi sempre è fatta di rose e fiori (come si suol dire).
E ognuno non fa altro che presentare la propria vetrina migliore. Ma poi questo non basta più… si ha bisogno di altro. E allora nasce la necessità di andare oltre la vetrina, oltre i luccichii, e rendere “umano” il superuomo nietzschiano che ci siamo costruiti, in modo da conoscerne i limiti e i difetti, e dove si può, pure aiutarlo a crescere. Bisogna quindi disilludersi a un certo punto e questo non è sempre semplice anzi, a questa fase si oppongono una serie di resistenze.
Il primo ostacolo si basa sul fatto che, per poter andare oltre la vetrina dell’altro, bisogna essere in grado di poter andare oltre la propria, cioè oltre l’immagine di se stesso che si è costruita. Bisogna cioè essere nella condizione di amarsi abbastanza in profondità da accettarsi pure nei propri limiti. E questo sicuramente non deve essere semplice per una persona che vive una condizione di disabilità. Dover andare oltre l’immagine esteriore che si ha di sé, soprattutto quando non si è “perfetti”, per come questa nostra società ci richiede di essere, sicuramente non è cosa semplice.
In un momento in cui il corpo è diventato soltanto veicolo di apparenza estetica dove quel che conta è, essere sempre abbronzato pure a dicembre per far invidia a chi rimane in città facendo credere di essere appena tornati da qualche isola tropicale (mentre invece tristemente ci si limita a fare delle solitarie docce solari), essere sempre sani e snelli e quindi belli (quando invece fino a qualche anno fa e ancora al sud quando ti vedono più magro pensano che sei malato, eccezionali in questo, le nonne, che in tre giorni fanno in modo di far andare via quel pallore da fame e far venire qualche chilo “di troppo” ,rispetto a cosa poi non si sa), certo, in un contesto così non deve essere semplice accettarsi o comunque adeguarsi.
Un altro ostacolo riguarda l’intenzione dell’altro ad essere scoperto nei propri limiti effettivi e, cioè, a essere amato realmente, accettato e accolto. Molte persone non vogliono essere scoperte, mettersi in discussione e porsi il problema dell’accettazione e allora fuggono da quell’amore che ovviamente non fa altro che svelarli. Amare un uomo che non si accetta in profondità è una mission impossibile che molte Candy Candy al grido di “Io ti salverò” hanno abbracciato. Impresa che molte donne ritengono affascinante proprio perché impossibile senza rendersi conto d’essere cadute nella trappola del masochismo.
L’amore è complicato… è proprio per questo, perché talvolta manca la voglia e la sensibilità per potersi accettare, anzi, capirsi per riconoscersi. Accettarsi non vuol dire “accontentarsi” passivamente, tristemente, piuttosto vuol dire capire le proprie potenzialità e i propri limiti per potersi ingegnare nello sperimentare “la soluzione alternativa” cioè quel qualcosa che possa far sopperire alle nostre mancanze. Perché nessuno è un essere perfetto. Neanche le opere d’arte infatti si dice che per essere tali devono proprio essere imperfette. Pensiamo alla bellissima Venere di Milo pure senza le braccia e la testa è… perfetta… nella sua imperfezione.
Come la pittrice che dipinge con le dita dei piedi, perché non ha gli arti superiori… o come Pierre-Auguste Renoir che colpito da artrite deformante alle mani e ai piedi, fu costretto alla sedia a rotelle ma continuò tuttavia a dipingere, facendosi legare un pennello alla mano più ferma. Ecco perché diversamente abili, non per trovare un termine ipocrita per non dire certe realtà ma perché l’abilità è una competenza non qualcosa di fisico, è qualcosa che s’impara con lo studio, l’abnegazione, la costanza, tutte qualità che ognuno di noi può esercitare, disabile o meno, poi ovviamente c’è la buona volontà che fa la differenza. Quello che rende un uomo migliore dell’altro.
Pensando alla disabilità viene in mente l’immagine di atlante che sorregge il mondo e piace pensare a quella immagine riprendendo una tra le tante teorie che riguardano il Mosè di Michelangelo. Così come per alcuni Mosè si starebbe alzando e non sedendo, la stessa cosa piace pensare di Atlante. Lui ha un peso sulle spalle, abbastanza tangibile e pesante ma ha pure due possibilità: o abbattersi e cadere giù o rialzarsi totalmente vincendo “il peso di quel peso”. A noi piace pensare alla seconda possibilità. Tutto ciò è possibile grazie al riconoscimento di un limite e alla voglia di reagire, figlia di un amore incondizionato, prima verso se stessi e poi verso gli altri.
“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni. Ciascuno con il proprio talento” (Le valchirie di Paulo Coelho)