Fabrizio Caliendo, imprenditore napoletano, ha denunciato e fatto incriminare quattro protagonisti della malavita organizzata, con la consapevolezza di andare in contro a una vita diversa, con la fiducia che lo Stato lo avrebbe protetto e salvato dalle violenze. Ma non è andata così (di
Chiara Marrazzo )
Fabrizio è il proprietario del Kestè locale in cui in 10 anni ha cercato di investire capitali finanziari e le sue idee al fin di poter concretizzare il suo sogno di vedere una Napoli piena di cultura ed espressione di diversità. Ma il suo percorso è stato tutt’altro che lineare. Come egli stessi ci ha raccontato sono stati 10 anni infernali, con alle costole la camorra che ha tentato in ogni modo di risucchiare le sue energie con l’intento di sottometterlo al sistema.
Fabrizio però non ha ceduto alle minacce e alla violenza operata contro di lui ed ha scelto di perseguire la strada della giustizia e del cambiamento. “Ho cominciato a 20 anni – ci racconta l’imprenditore napoletano - anni in cui hai forza ed energia per cambiare le cose. La mia attività andava molto bene, ma io ed il mio socio eravamo braccati dai criminali che ci costringevano a pagare un pizzo molto alto con l’intento di volersi appropriare dei nostri beni. Non ho avuto dubbi. Ho seguito il cuore e sono stato fiducioso. Sapevo che mettersi contro la camorra voleva dire rimanere soli, essere emarginati da tutti per paura, ma non ho esitato neanche un attimo. Pensare di collaborare per il bene della collettività, di poter offrire un contributo a chi scrive le leggi per poter migliorare la vivibilità del mio territorio mi rendeva orgoglioso e fiero, ed ho seguito i miei principi ed il mio cuore”.
Fabrizio ha denunciato e fatto incriminare quattro protagonisti della malavita organizzata, con la consapevolezza di andare in contro a una vita diversa, ma con la fiducia che lo Stato lo avrebbe protetto e salvato dalle violenze. Ma non è andata così. “
Dopo l’incriminazione arrivò il buio – continua a raccontare Fabrizio -
il gelo. Uno Stato assente e sempre in ritardo che mi ha trasformato da uomo fiero ed orgoglioso in uno fuggitivo, pauroso, diffidente incapace di capire il giusto. La mia fiducia è stata delusa, non dallo Stato e dai principi che esso incarna, ma dalle persone che avrebbero dovuto occuparsi di me, e che invece mi hanno abbandonato a me stesso. Denunciare oggi, specialmente se si è piccoli piccoli, come me, significa collassare, implodere”.
E così quell’uomo fiero, quel cittadino onesto è stato costretto ad allontanarsi dalla sua attività di Pozzuoli, perché la situazione era diventata incontrollabile. “
E’ stato un periodo caratterizzato da continue minaccie. Mi hanno derubato, minacciato, incendiato parte del locale, inviato proiettili, sparato nelle serrande, ed io per un po’ ho tenuto duro, ma poi non ce l’ho fatta più ed ho dovuto mollare, andare via, lasciare Pozzuoli. Impaurito ed arrabbiato per la solitudine in cui mi aveva lasciato lo Stato, per la collusione di chi dovrebbe occuparsi della nostra sicurezza con le organizzazioni mafiose.”
In effetti il marcio c’era. Nel 2005 l’amministrazione comunale del Comune di Pozzuoli è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, come potevano quegli stessi individui occuparsi Di Fabrizio?
La fuga di Caliendo ha rappresentato solo una tregua, un momento di riflessione che l’imprenditore napoletano si è voluto concedere, per disintossicarsi da quei mali. Non ha mai venduto l’azienda, e nel 2008, ricaricatosi di coraggio e ripresa la fiducia è ritornato nella sua terra e ha riaperto l’attività.
“
Ero certo di aver mosso i passi giusti per potermi garantire assistenza economica, tecnica e morale per il ritorno in patria – ci rivela-
convinto che da Roma, il comitato di solidarietà delle vittime della Mafia avrebbe agito in mio favore dopo le innumerevoli segnalazioni che avevo inoltrato, ma non è stato così”.
Fabrizio ha mostrato le innumerevoli denuncie e richieste di risarcimento di danno inoltrate alla prefettura e al Comitato di solidarietà per le vittime, dalle quali si evincono le lungaggini burocratiche, gli intoppi negli iter e la superficialità dei verdetti. Dopo più di due anni di richieste si è visto negato il diritto al suo risarcimento, per la mancanza di nesso tra l’abbandono della sua attività e le minacce subite. “
Perché allora un imprenditore che guadagna centinai di migliaia di euro all’improvviso dovrebbe mollare tutto e scappare” si chiede retoricamente.
Di nuovo deluso e isolato, l’imprenditore napoletano confessa di trovarsi di fronte ad un bivio “ho perso molto in questi anni, e molto più dei soli guadagni. Ho perso la mia donna, i miei amici incapaci di capire perché perseverassi in quella guerra. Ho perso la mia serenità, ed adesso comincia a vacillare anche il mio coraggio. Avevo pensato di abbandonare tutto e di andare via, per riprendermi la mia vita, ma poi ho pensato che non era quello che volevo e se mi costringessero a farlo tutti i miei sforzi perderebbero di significato, avrei comunque perso. Adesso voglio giocare l’ultima carta, quella dell’opinione pubblica.
Sono stanco di denunciare allo stato, ma non sono ancora abbastanza esausto per mollare i miei principi. Nonostante tutto credo ancora nel cambiamento, e credo ancora che esistano concrete possibilità per realizzarlo. Ho deciso di affidarmi alla stampa e a tutti i mezzi di comunicazione per veicolare un messaggio: non è giusto pagare il pizzo, voglio denunciare l’assenza dello Stato e continuare a lavorare nel mio territorio, raccontare la verità e raccogliendo le energie di tutti gli onesti imprenditori e commercianti che come me lottano per la giustizia”.
Una nuova battaglia dunque, per combattere la quale Fabrizio si sta servendo anche di
Facebook. È stato infatti creato un gruppo “
Denunciare la camorra: un pessimo affare” con l’intento di raccontare la verità, di raccogliere le altre esperienze e di unire le forze per chiedere allo Stato delucidazioni, sicurezza e trasparenza. Perché ?
“Non ho intenzione di darla vinta alle mafie – ci risponde Fabrizio – voglio che siano rispettati i miei diritti”.
(foto da revestito.it)