"Luca era gay". Tra le polemiche, seconda classificata al Festival di Sanremo 2009

di Anna Laudati
“Vorrei avere il becco… per accontentarmi delle briciole” (canzone di Giuseppe Povia) Beh!!! Chiamale briciole… (di Veronica Centamore 

povia._cittaoggiweb.jpgNel 2003 vince la XIV edizione del Premio Recanati con il brano “Mia sorella” (canzone che affronta il tema della bulimia e dell’anoressia) elogiato da alcuni dei più grandi poeti italiani contemporanei come Alda Merini, Fernanda Pivano, Dacia Maraini. Ovazione generale alla sua prima apparizione sanremese nel 2005 dove partecipa con una canzone, fuori concorso (in quanto il brano era già stato ascoltato) “Quando in bambini fanno ooh”.

Viene scelta come colonna sonora per “Avamposto 55” importante campagna di solidarietà a favore dei bambini del Darfur. A sostegno di questa iniziativa, il cantante devolve, per un anno intero i proventi derivanti dalla percentuale delle vendite del singolo e contribuisce con ciò alla costruzione di due scuole-ospedali nello stato africano. Inoltre partecipa al Live8 organizzato da Bob Geldof il cui obiettivo è di fare pressione sui leader politici delle nazioni più ricche e potenti del mondo per cancellare il debito delle nazioni povere dell’Africa. E per completare… quest’anno Giuseppe Povia, si classifica secondo alla 59° edizione del festival di Sanremo dopo un primo posto nell’edizione del 2007.

Quindi così si presenta questo giovane cantante già dalla sua prima apparizione televisiva: sensibile, attento ma soprattutto dotato di un cuore che batte pure per i più deboli. Ma stavolta accade qualcosa di diverso. La kermesse sanremese come sempre è preceduta da qualche polemica che riguarda i testi delle canzoni (che ancora devono essere ascoltati) e quest’anno tocca proprio a lui, si, quello dei bambini che fanno ooh!!! “Luca era gay” è il titolo della canzone (testo peraltro non presentato fino alla sera della prima apparizione), volutamente provocatorio, si suppone. Si attende con ansia l’inizio del festival, mentre il mondo gay è già in piena sommossa e scende in strada per confermare il proprio orgoglio gay. Povia: “Ascoltando il brano ci si accorge che non offendo nessuno, racconto di una persona che non era serena, purtroppo è il fraintendimento popolare che hanno voluto creare i giornalisti, i quali adesso si sono un po’ zittiti perché hanno capito che la canzone è in buona fede. Per quanto riguarda le critiche mi sono divertito tantissimo perché mi piace essere un provocatore”.

Ascoltando la canzone (peraltro orecchiabilissima, grintosa dal punto di vista musicale), facendo caso al testo, si capisce da subito che non si tratta di nessuna sentenza, di nessuna “guarigione o malattia” ma semplicemente di una storia (come difatti più volte si è ribadito) ma troppo si è detto a tal proposito. La cosa che più colpisce di questo cantante è la bellezza delle cose semplici ma l’originalità che usa nel dirle e nel comunicarle attraverso forme che lasciano da parte il doppiopetto ingessato sanremese. Quella sera, sul palco è stata una lezione continua di spettacolo e comunicazione. Povia concludeva il pezzo mostrando delle frasi di senso compiuto che potevano rimandare alle polemiche relative alla sua canzone. Ed è subito lezione. Come non ricordare “L’uomo col megafono” di Danilele Silvestri (altro artista di grande originalità). Sanremo 1995: canta seduto su uno sgabello, mostrando alcuni cartelli colorati con le frasi più significative della canzone. Come spesso succede a Sanremo, l’ultimo posto in classifica, sarà sinonimo di successo discografico: il suo talento viene riconosciuto subito da una giuria di autori, che assegna il Premio Volare a “L’uomo col megafono” come miglior testo letterario della gara sanremese.

Come non notare un eco lontano, un richiamo al caro vecchio Bod Dylan.  C’è stato un periodo in cui il mondo musicale si è trovato, come mai, in sintonia con gli avvenimenti esterni, avvicinandosi alla realtà sociale e, particolarmente, ai movimenti giovanili degli anni ‘60.

La "canzone", di solito mero prodotto alla moda di largo consumo, divenne, in molti casi, uno dei più alti canali di espressione di una intera generazione, Diceva Frank Zappa:” Non possono ignorarci. Anche se le idee che stanno dietro alla nostra musica non piacciono, la si deve ascoltare perché è dappertutto". I testi di molte canzoni per la prima volta facevano "pensare" evitando le solite banalità ricorrenti. Beatles e Rolling Stones, dunque, ma soprattutto Bob Dylan, Donovan, Joan Baez e tanti altri cantanti "impegnati". Come scrive Maffi in "La cultura underground, vol.2: Rock, poesia, cinema teatro", (Ed. La Terza, 1980) “Dylan non era l’individuo che cantava l’esperienza d’un popolo o d’una classe sociale, ma l’individuo sensibilissimo agli avvenimenti socio-politici che canta le proprie poesie … Era Ginsberg in musica … Perciò Dylan divenne per un certo tempo l’ispiratore (i suoi messaggi) quelli di Dylan divengono semmai ispirazione per tutti". Famoso, da qui, l’uso dei cartelloni per sottolineare alcune frasi delle sue canzoni.

Ma Povia aggiunge ancora un’altra novità alla performance… se questo brano non fosse all’altezza di essere compreso, Povia usa un… rafforzativo. Fa illustrare sul palco dell’Ariston il suo testo dai disegni di Alessandro Matta. L’arte quindi si mischia ad altra arte, si fonde per dar vita a un’idea che girerà nella mente di chi l’ascolta accompagnata da un’immagine che è insieme rivelazione e mistero ma comunque fascino.

“…quando creo un’immagine, il protagonista trascorre l’intera vita nella tela, quasi ne fosse prigioniero. Ma è una vita tutt’ altro che statica piena delle emozioni che trasmette a chi la guarda, dei pensieri che evoca e delle sensazioni che suscita, linfa vitale per renderla immortale. La suggestione di un quadro, unisce dunque diverse persone in un sodalizio artistico e umano, nel quale ogni elemento concorre a creare quella specie di magia e di meraviglia infime e segrete”. (Alessandro Matta)

Ma non interessa dare torto o ragione, interessa l’amore che come ha detto Benigni dal palco dell’Ariston… “E’ universale”. Il resto è soltanto un modo per poter parlare di qualcosa. “Ci siamo bell’è capiti” (R. Benigni)