Salvatore Borsellino. La mia vita per Paolo
I giovani devono sapere per poter costruire una società “sana”. “Fino alla mia morte sarà la mia rabbia ad alimentare la mia speranza”. Intervista a Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nella strage di via D'Amelio (di Sebastian Zappulla)
Sempre in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata, Salvatore Borsellino gira per le scuole di tutta Italia cercando di trasferire la sua rabbia ai giovani affinché non si dimentichi ciò che è successo, affinché quella di oggi possa essere la generazione del cambiamento. Partiamo da quando Paolo Borsellino incominciò la sua esperienza nel pool antimafia a Palermo con Falcone. Cosa ricorda di quel periodo? Cosa le raccontava suo fratello? Paolo iniziò l'esperienza nel pool nell'anno 1980. Fino a quell'anno si era occupato soprattutto di cause civili, attività nella quale, come lui stesso disse, dedicava il meglio di se stesso.
Il 4 maggio 1980 però fu ucciso il Cap. Emanuele Basile ed il Giudice Chinnici volle che fosse Paolo ad occuparsi dell'inchiesta. Nello stesso ufficio frattanto era arrivato, provenendo anche egli dal civile, Giovanni Falcone e questo fu, nato quasi per caso, il nucleo iniziale di quello che doveva poi diventare il pool antimafia. Questa genesi la voglio ricordare con le stesse parole di Paolo, così come le scrisse nella sua ultima lettera "... sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere una altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente ma, se amavo questa terra, di essi dovevo esclusivamente occuparmi...". Di come Polo viveva gli attimi precedenti ad un arresto eccellente non ho invece un'esperienza diretta. Contrariamente a Paolo che scelse di rimanere in Sicilia e combattere li la sua lotta, io scelsi di andare via a 27 anni, appena laureato e in quei 30 anni di lontananza le occasioni di vedere Paolo sono state quasi esclusivamente al di fuori del suo lavoro, anche se il pericolo in cui visse per anni era palpabile, ricordato sempre, se non altro, dalla sua scorta che lo accompagnava dovunque. Dei momenti passati con Falcone nel duro lavoro del pool ricordo quello che mi raccontava, ad esempio il fatto che spesso dovevano addirittura farsi da soli le fotocopie di quelle migliaia e migliaia di pagine che componevano gli incartamenti del max processo. O di quando furono, insieme con le loro famiglie, trasferiti in fretta e furia all'Asinara perché lo Stato non era in grado di garantire la loro sicurezza. Di quella trasferta forzata, per cui la sua figlia più grande si ammalò di anoressia a causa della tensione, lo Stato gli inviò poi la fattura per le bevande che avevano consumato e Paolo raccontava spesso di Giovanni che, ricevuta la fattura, disse a Paolo "minchia Paolo, talia, però ni nni vippimu di vinu..."( minchia Paolo, guarda ne abbiamo bevuto di vino)
Paolo le fece mai qualche confidenza su minacce ricevute? Paolo non parlava mai del suo lavoro in famiglia, se non in rare occasioni. In famiglia e con gli amici preferiva lasciarsi alle spalle, per quanto possibile il lavoro e condurre delle parentesi di vita normali. Amava molto scherzare forse per sdrammatizzare quello che era invece il resto della sua vita e il suo rischio costante di morte. Cercava di non nominare nemmeno in famiglia le persone che indagava o con cui aveva dei rapporti di lavoro. Per questo mi ritorna sempre in mente un episodio che mi ha raccontato sua figlia Lucia. Un giorno, qualche mese prima del 19 luglio, lei sentì alla televisione parlare di Bruno Contrada e allora chiese a suo padre chi fosse quella persona. Paolo trasalì e rispose concitatamente: "chi ti ha fatto quel nome? Ma lo sai che quello è un nome che solo a farlo nel momento sbagliato si rischia la morte"?
Come ricomincia la vita di una famiglia che ha avuto un evento così tragico? Dove e come si trova la Forza di ripartire? La vita ricomincia, ma cambia profondamente, niente è più eguale a prima. Potrebbe esserlo se ci fosse Giustizia, se si arrivasse alla Verità. Ma c'è invece in noi la coscienza che questa disgraziata nostra seconda Repubblica è fondata sul sangue di quelle strage allora la forza di ripartire, la forza di lottare viene dalla rabbia per questa Giustizia e queste verità negate. Ci sono dei momenti in cui questa forza viene a mancare, dei momenti in cui la speranza viene a mancare ma poi pensiamo a Paolo che, fino all'ultimo giorno della sua vita questa speranza non la ha fatto mai morire dentro di se e allora la rabbia per la complicità dello Stato nella sua morte cresce e la voglia, anzi la smania di lottare ritorna.
Che tipo di rapporto c’era tra lei e suo fratello Paolo? Come tra tutti i fratelli, con i più la nostalgia di un rapporto che dalla fine della nostra giovinezza aveva per forza di cose perso la consuetudine del rapporto quotidiano a causa della distanza. Ci legava in maniera particolare l'amore per nostra madre, una donna straordinaria anche se schiva dalla quale deriva tanto di quello che era l'uomo e il Giudice Paolo Borsellino.
Dopo la morte di suo fratello, si è prefissato un obbiettivo da raggiungere? La Verità e la Giustizia, per quella strage. non credo che riuscirò ad avere ne l'una ne l'altra ma per esse lotterò fino all'ultimo istante della mia vita.
So che lei gira per tutta l’Italia, soprattutto nelle scuole. La sensazione nei confronti di questi ragazzi, è positiva? Sono interessati all’argomento? Dopo ogni incontro con questi giovani, quando mi ringraziano di averli incontrati dico che devo essere io a dovere dire grazie a loro. Sono spesso ragazzi che non erano neanche nati quando Paolo fu ucciso e che , nonostante questo sentono la sua figura come se lo avessero conosciuto da sempre , qualcuno mi dice addirittura che ha deciso di dedicare la sua vita a lui, di volere diventare Magistrato come lui e di volere andare anche a Palermo per questo. Sono ragazzi che credono in quegli ideali di Giustizia e di Libertà in cui Paolo credeva e che sono disposti a lottare per essi. So che non sono tutti così i giovani di oggi, che ce ne sono altri che vanno dietro a falsi ideali, che credono che il mondo sia quello che una televisione che corrompe invece di educare mostra loro, ma la stragrande maggioranza di quelli che io ho incontrati è riuscita invece ad alimentare in me la speranza che il sogno di Paolo si possa un giorno, che loro riusciranno a vedere, realizzare.
Ritornando al pool antimafia, pensa che si potrà mai ripetere un esperienza simile a quella fatta da Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto? Potrebbe realizzarsi se non fosse in atto da parte del potere un'opera sistematica di imbavagliamento della Magistratura e di intimidazione nei confronti di quei Giudici che non vogliono fare altro che tenere fede al loro Giuramento. Purtroppo poi oggi una parte cospicua della Magistratura è corrotta è organica al sistema di potere, e le inique decisioni del suo organo di autogoverno, il CSM, lo dimostrano. Sono attive delle consorteria di politici, magistrati e criminali che rendono oggi difficile il ripetersi di una stagione come quella del pool antimafia.
Quali sono oggi, i valori in cui crede? Credo nei valori della nostra Costituzione, nella Solidarietà, nell' Amore, nella Giustizia e nella Libertà e, come Paolo, fondo la mia speranza nei giovani. La mia è purtroppo una generazione che ha grosse responsabilità del baratro in cui stiamo oggi precipitando.
Un bilancio sugli ultimi anni? Progetti per il futuro? Dopo la morte di Paolo ho passato dei periodi molto diversi da loro. I primi anni in cui, a fronte della reazione della coscienza civile a fronte di quella strage, pensavo che veramente tutto potesse cambiare e cambiare in fretta. Erano gli anni in cui andavo nelle scuole a cercare di portare ai giovani il messaggio e la speranza di Paolo e credevo veramente che l'alba della nostra lunga notte stesse per arrivare. Poi ci sono stati gli anni dello sconforto e della disillusione a seguito dello spegnersi di quella reazione, nel constatare come il sacrificio di quegli uomini non fosse bastato, come tutto stesse tornando ancora peggio di prima. Ci sono stati sette lunghi anni di silenzio in cui non ho potuto più parlare, convinto che non era mio diritto, come fratello di Paolo che la speranza non aveva mai abbandonato sino all'ultimo giorno della sua vita, parlare ai giovani di sfiducia nelle Istituzioni, della morte della mia speranza di cambiamento. Poi, dopo un'esperienza che mi ha cambiato, un viaggio a piedi di
Un suo libero pensiero sulla lotta alla mafia realizzata dai giovani e dalle tante associazioni sul territorio?Non posso che adoperare le parole di Paolo . "La lotta alla mafia, primo problema morale da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolga tutti, soprattutto le nuove generazioni, le più adatte a sentire il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".
Forza ragazzi, le idee di Paolo e di Giovanni dovranno mettere in moto anche le nostre gambe.
La redazione ringrazia Salvatore Borsellino per le sue parole e per l’emozione nell’intervistarlo e nel leggerlo.