Diversi da chi? Disabili in scena
Il teatro non ha categoria ma si occupa della vita. È il solo punto di partenza, l’unico veramente fondamentale. Il teatro è la vita” (Peter Brook) Che bella definizione dell’arte teatrale e mai nessuna fu, soprattutto, così appropriata se si pensa al teatro in una dimensione che non esula, ovviamente, dall’evento spettacolare ma che in più ha una componente “terapeutica”.
Da Grotowski a Brook, da Strehler a Barba il punto di convergenza resta il fatto che: “Il teatro è quell’evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore che dal vivo ne segua le azioni” ecco la magia! Qualcuno che guarda un altro in grado di trasmettergli delle emozioni, di qualsiasi tipo e natura ma comunque… emozioni. Ma si tratta di reciprocità, pure chi si esibisce subisce, e in questo caso si tratta di un processo, di una trasformazione che ha la capacità di trasportarlo in una realtà altra, dove, investito di un ruolo agisce “come se” (parole di Stanislavskijana memoria).
Ed è proprio in un luogo non luogo, cioè in un posto che non appartiene alla realtà ma che è reale, dove, proprio colui che nella vita vera non ha uno status sociale o, che per qualsivoglia motivo, si trova a dover convivere con delle problematiche, trova, grazie a quella “maschera” teatrale (cioè all’attribuzione di un ruolo specifico), la possibilità per riconoscersi in un qualcuno di ben definito. È questo che da anni
Una realtà che si pone sulla scia dell’organizzazione fondata nel 1974 da Jean Kennedy Smith, a sua volta affiliata al JFKennedy Center di Washington, e che oggi è presente in 60 paesi del mondo. Il progetto ha origine dall’idea di Piero Gabrielli, lo stesso di “Mille bambini a via Margutta”. Si iniziò con “La tempesta” di Shakespeare diretta da Maurizio Scaparro per recitare davanti ai regnanti Juan Carlos e Sofia, e poi ai Kennedy. Alla morte del presidente statunitense, la sorella Jean aveva creato due movimenti: lo “Special Olympics” e il “Very Special Arts”, in breve sorti anche in Italia. Jean Kennedy, a Roma per l’inaugurazione del Vsa Italia, andò allo spettacolo dei “Diversi da chi?” e fu un vero tripudio. “E da quel momento… mi sono compromessa sentimentalmente con…il diverso (queste sono le parole della coordinatrice della Compagnia Maria Luisa Sinibaldi).
Il nome lo suggerì un’espressione di Giacomo Percolo, paraplegico e artista, il quale mentre guardava la tv esordì: “Ma i nostri spettacoli non sono migliori di questi? Perché dovremmo essere diversi? Ma diversi da chi?” Iniziò così l’avventura. Nel 2000 il debutto al Sistina con la commedia musicale “Rugantino”, portata anche a Los Angeles e al Parlamento europeo, e poi via da lì in un susseguirsi di performance nei luoghi deputati più disparati” Barriere architettoniche e barriere culturali, quali sono le più difficili da superare nella realtà quotidiana? “Ne esiste una terza categoria: le barriere del cuore. Sono queste le più difficili da abbattere. Non è semplice abituare la gente ad amare se stessi, immagini gli altri. Da anni ci battiamo per far comprendere che la “diversità” (nell’accezione negativa) è soltanto una condizione mentale viziata, figlia del pregiudizio e nulla più. Noi, invece la esaltiamo facendone il nostro punto di forza. A tal proposito mi viene in mente una bellissima frase che ho sentito dire a Roberto Benigni qualche tempo fa: “Felice chi è diverso essendo egli diverso ma guai a chi è diverso… essendo egli comune”. Quello che facciamo, le sembra tanto comune"?Quali sono in base alla sua esperienza le regole base per una effettiva integrazione di tutte le diverse abilità che si esprimono nella vostra compagnia? Il collante primario è l’allegria insieme alla gioia e alla voglia di vivere. E l’amore che in fondo “move il sole e l’altre stelle” no? Per il resto… tanta ma proprio tanta e di più… PAZIENZA. Noi da sempre e per sempre predichiamo Le pari opportunità dell’arte come “possibilità” di ottenere, attraverso un’educazione alla stessa, una fetta di “paritocrazia” come comune denominatore di un mondo prettamente disomogeneo almeno su di un palcoscenico, luogo di conflitti per antonomasia. Pretenzioso? No, dovuto”.
Alessandra:“Per me il teatro mi da tanta emozione quando sto palcoscenico mi eccito, quando recito mi sento emozionata e ho paura di sbagliare quando vedo la gente mi da la gioia, allegria e mi danno la forza di andare avanti. Spero di essere forte e coraggiosa per me è tutta la mia vita e l’ho amo troppo per abbandonarlo” (Alessandra Mascoli semplicemente… un’attrice). “Cerchiamo di creare sogni per uomini svegli. Condannando, i nostri ragazzi, poeticamente ad amare la vita per forza. Attraverso la… rappresentazione scenica della stessa” (Veronica Centamore semplicemente un’altra attrice)