"Il Rugantino". Racconto di uno spettacolo teatrale 'diverso'
Questa definizione è il frutto di un incontro tra due persone che, pur essendo diverse per condizione fisica, hanno qualcosa che li accomuna, indipendentemente da tutte le etichette: l’amore per l’arte e la fiducia nelle sue potenzialità sulle persone. E un’ulteriore dimostrazione di ciò Carlo e Veronica l’hanno avuta giovedì 16 aprile a Gaeta e precisamente al teatro Ariston. (foto Laura Lancia)
La compagnia teatrale “Diversi da chi?” (gruppo d’inclusione sociale tra ragazzi speciali e altri normodotati) è stata invitata dall’Associazione Aurora a mettere in scena la commedia teatrale “Il Rugantino” scritta da Garinei e Giovanni con le musiche del maestro Trovajoli. Aurora è un’associazione creata da persone, genitori e figli, che hanno un contatto ravvicinato con la disabilità e che si sono prefissi lo scopo di portare un po’ di gioia e serenità ad tutte le persone che vivono un disagio. Per i commedianti, figli della vecchia commedia dell’arte, girovaghi per amore e per dovere è il solito iter. Appuntamento alle due per prendere il pullman che da Roma li accompagnerà a destinazione (mentre altri raggiungeranno il posto in auto). Sistematicamente si parte in ritardo e sistematicamente si arriva appena in tempo per la prova generale che, come sempre, “è da schifo” (queste sono le dolci e soavi parole dell’ amata tiranna-regista ma pure madre, amica, sorella… Maria Luisa Sinibaldi). Ma il bello arriva un attimo prima dello spettacolo.
A qualcuno mancano le scarpe e così si va di corsa in cerca del primo negozio di cinesi (inutile ribadirvi la povertà del teatro, poi del nostro in particolare), ad altri mancano addirittura le gonne ma improvvisamente arriva il deux ex machina, la magica sarta Elena, che insieme a Laura, l’assistente, prontamente stirano e infilano la gonna alla malcapitata. Poi, arriva la solita sbruffata di chi dalle sette della mattina sta lì a montare scene e service ma è una lieve baruffa dovuta solo al cedimento della stanchezza ma il massimo arriva appena si apre il sipario. Quasi come una consuetudine ormai c’è sempre la solita o il solito (fanno a turno) che decide di non entrare in scena a causa di motivi che vanno dal sonno al reclamo di mancanza di attenzioni, per altro ovvia, visto il momento. Poi si passa al microfono che si spegne durante i dialoghi e c’è chi s’ingegna una piroette per andare, con neanche tanta nonchalance, a sistemarlo; mentre altri microfoni si sfilano di dosso mentre si danza, c’è chi finisce per fare il cerchio in terra mentre gli altri ci ballano sopra, sempre in cerchio, però.
Altri, addirittura, s’improvvisano dialogisti, inventandosi le battute a causa della dimenticanza. Ma attenzione, il momento topico, il climax cinematografico, giunge quando la nostra attrice più anziana Adriana (ottantenne) entra in scena per dare da mangiare al gatto che, però, non c’è perché qualcuno non si è ricordato di lanciarlo prontamente in scena e lei, inoltre, aveva pure scordato di portargli il cibo. Ma tutto questo non fa altro che rendere il gruppo ancora più unito e complice. Sempre e comunque insieme almeno fino alla fine. E poco importa se non è andata come era stato previsto, se non si entra in tempo in scena, quello che conta è vedere la gente in platea che ha difficoltà a riconosce qual è l’attore “speciale” e quale no e i protagonisti sono molto bravi a confondersi anzi si compiacciamo di questo. Quello che conta è il messaggio che arriva a chi guarda per la prima volta vedendoli con gli occhi della possibilità, comprendendo che niente al mondo è impossibile, per nessuno. Magari c’è qualche difficoltà in più, magari non tutto sarà perfetto come dovrebbe ma a loro piace dare l’opportunità. Sia per i ragazzi, essere applauditi per un merito, e non guardati sempre con stupida commiserazione sia per le persone che non conoscono la disabilità da vicino e che per questo non ne hanno colpa ma hanno decisamente bisogno “dell’incontro” con il diverso per comprenderlo, non accettarlo perché nessuno può mai essere nella condizione di discriminare concedendo la sua approvazione o negandola ma semplicemente prenderne atto. I ragazzi ci sono e finalmente possono anche gridarlo dal palcoscenico di un teatro. Che poi, non è altro che la vita stessa.
"A me piace tanto fare le recite perchè è bello stare un gruppo affiatato e mi piace sempre stare in gruppo come quando faccio basket poiché anche li siamo un gruppo. Le recite come lo sport per me sono delle sfid e perchè devo vincere le emozioni che ho quando mi vengono a vedere gli amici e devo imparare a fare bene i passi dei balli e non è facile e quando ci riesco sono soddisfatto ed è come vincere una gara importante” (Filippo, attore)La vittoria più importante è la capacità di regalarci emozioni. Grazie a tutti i… “Diversi”. Anche io sono un componente della compagnia teatrale (Veronica Centamore)