Rimandata l'esecuzione di Delara Darabi, la giovane artista iraniana condannata a morte per omicidio
In carcere dal 2003 la ragazza nel buio della sua cella, sopravvive grazie ai colori: ha iniziato a dipingere (di Monica Scotti)
Il processo a Delara ha sollevato non poche polemiche. La ragazza, al momento dei fatti, era minorenne e la sua condanna infrange alcuni dei capisaldi del diritto internazionale in base ai quali si vieta l’applicazione della pena capitale sui minori (Convenzione sui diritti dell'infanzia; Patto internazionale sui diritti civili e politici, art.6 comma 5). Ma quali sono i fatti? Nel settembre 2003, Delara (che allora aveva 17 anni), insieme al fidanzato 19enne Amir Hossein Sotoudeh, si introduce nell’abitazione della cugina 58enne del padre: l’obiettivo è commettere un furto. Qualcosa però va storto, la donna rimane uccisa. Non è stata Delara a sferrare la coltellata mortale (si dimostrerà che il colpo è stato inferto alla vittima da un destro, lei è mancina, la prova però non viene accettata dai giudici), ma il fidanzato la convince a prendersi la colpa facendole credere che essendo minorenne non verrà punita. Purtroppo non è così. In Iran si considerano penalmente perseguibili i maschi dall’età di 15 anni e le femmine dall’età di 9 (secondo l’interpretazione data dai giuristi sciiti). I due vengono condannati a 3 anni di carcere e 50 frustate per la tentata rapina (a questo si aggiungono altre 20 frustate per la loro "relazione illecita"). Nel 2005 Delara è condannata anche per omicidio (in preda alla disperazione nel 2007 tenta il suicidio in carcere). Da allora è rimasta in carcere a Rasht, in una cella dove, stando alle testimonianze dei genitori che di rado riescono ad andarla a trovare, non le viene concesso neppure un ventilatore contro il caldo soffocante ed è costretta a dividere il bagno con altre 100 persone. Nel buio della sua cella Delara sopravvive grazie ai colori: ha iniziato a dipingere. Le sue opere sono state esposte a Tehran e a Stoccolma, immagini strazianti che trasudano solitudine e paura, in attesa della morte. Quando le sono stati portati via i pennelli ha continuato a dipingere con le dita. «Sai cosa significa essere prigioniero dei colori? Significa me. La mia vita dai 4 anni in poi è stata fatta di colori. Compiuti i 17 anni, li ho persi... Ora la sola immagine che appare ogni giorno davanti ai miei occhi è quella di un muro. Io Delara Darabi, incarcerata per omicidio, condannata a morte... mi sono difesa con i colori, le forme e le espressioni».
Delara Darabi, la 23enne pittrice iraniana condannata a morte per un omicidio che non ha commesso, è salva, almeno per un po’ nessuno la trascinerà sul patibolo. La pena capitale per impiccagione doveva essere eseguita il 20 aprile scorso, ma all’ultimo minuto è arrivata la decisione del capo della magistratura iraniana, l’ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, che l’ha rinviata "per un periodo limitato di tempo" e solo per dare modo alla famiglia della vittima dell'omicidio (la cugina 58enne del padre di lei) di riflettere sulla richiesta di perdono avanzata dai genitori di Delara.
Quel perdono potrebbe salvarle la vita. In Iran infatti è in vigore la sharī ‘a (termine solitamente tradotto come “legge religiosa islamica”) di stampo sciita, che prevede la possibilità per chi è riconosciuto reo di omicidio di ottenere la grazia per volere dei congiunti dell’assassinato o a seguito del pagamento di una somma di denaro (diyeh). Dietro il rinvio ci sono anche le petizioni inviate alle autorità di Teheran da SaveDelara.com e da Amnesty International, nonché la mobilitazione del popolo di internet (compresi appelli lanciati nei social network come facebook), a cui è seguita, dopo la sospensione temporanea della pena, la richiesta di "sospendere permanentemente la condanna a morte per Delara Darabi e di riaprire il processo tenendo nella più alta considerazione tutte le prove utili" inviata in Iran da Luisa Morgantini, vice presidente del Parlamento europeo.