La tratta degli schiavi moderni, dall’Africa ai ricchi paesi del nord del mondo, non si ferma. Cosa fare? La risposta non è semplice ma di certo il problema non si risolve se non affrontandolo insieme a chi lo vive (di Gianfranco Mingione)
Spagna, Italia e Grecia: l’Europa latina, greco-romana che da millenni accoglie via mare i suoi visitatori e scopritori di nuove terre. Oggi, questi paesi, devono fronteggiare un fenomeno complesso, strutturato che coinvolge milioni di persone ed un continente, l’Africa, ma non solo, che vive al suo interno fame, povertà, sottosviluppo e degrado socio-ambientale.
Il fenomeno della tratta, dei poveri migranti che cercano di approdare in Italia varcando il canale di Sicilia, è sotto gli occhi di tutti; così come sono sotto gli occhi di tutti i motivi che spingono donne, bambini e uomini a scappare dalle loro terre d’origine. La qualità della vita nei loro luoghi è pessima: mancano i servizi elementari, spesso queste persone provengono da luoghi dove furoreggia una guerra intestina, tra tribù differenti, per le quali l’occidente ricco ed opulento si limita a messaggi di condanna dalle sedi internazionali che alla prova dei fatti servono a ben poco. Ed ecco che allora si scappa, che si cerca l’eldorado in luoghi e continenti lontani, così come avvenne per gli albanesi negli anni novanta, spinti anche da un edulcorata ricostruzione dell’Italia operata dalla nostra televisione che fa apparire tutto bello e perfetto.
Le porte del mare, dalle quali questi disperati salpano pagando lautamente i trafficanti di uomini, sono situate nel nord Africa tra la Libia, la Tunisia e l’Algeria. A guadagnarci sono proprio i trafficanti,sì, loro che guadagnano 1300 euro per ogni euro investito nei barconi della speranza. Ma quale è la soluzione a questo problema? Sono forse le politiche repressive, di respingimento degli sbarchi attuate da questo o quel governo di destra o di sinistra? O forse sarebbe bene ragionare in termini di sviluppo e cooperazione internazionale? Una delle strade migliori da percorrere potrebbe essere quella delle giovani generazioni da coinvolgere in un processo di crescita e partecipazione sociale dei propri territori. Coinvolgere i giovani che abbandonano la propria terra perché in essa mancano le basi per costruire un futuro degno di essere vissuto dovrebbe essere la migliore soluzione per evitare l’emigrazione illegale africana.
Formazione, sviluppo rurale e commerciale, abolizione del debito dei paesi del terzo mondo, fine dell’assistenzialismo in favore dell’autonomia economica e sociale. Questi sono punti fondamentali sui quali continuare ad insistere, punti sui quali è importante coinvolgere i giovani e i popoli tutti sofferenti per questa o quella guerra civile o carestia. Non si può soltanto respingere, ma si deve, anche in virtù del nostro essere popoli democratici che si ispirano ai valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, contribuire allo sviluppo di questi paesi affinché non accada più che il sud del mondo rimanga affamato e sottosviluppato, ed il nord del mondo sia visto come sempre più ricco e intento a bruciare risorse che appartengono a tutti. Verrà il giorno in cui nessuna politica repressiva potrà fermare i diseredati del mondo e i miserabili di Hugo busseranno ardentemente alle nostre porte, magari chiedendo aiuto o ancor più difficile per noi, una risposta a tutto questo male. E quel giorno sarà troppo tardi per presentare qualsiasi tipo di politica di sviluppo e salvezza. Ed a quel punto nessun respingimento potrà rendere tranquilli i popoli del nord.