Il governo ha appena congelato i fondi destinati al superamento del digital-divide nel nostro Paese

di Anna Laudati

La crisi pare che abbia fatto cambiare “l’ordine delle priorità” secondo le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta (di Andrea Sottero)

broadband.jpgLa crisi è reale, chi fa fatica ad arrivare a fine mese lo sa bene. E’ evidente che in un panorama di questo tipo, pensare alle connessioni internet veloci sembra quanto meno inappropriato, soprattutto quando lo si fa con i fondi pubblici. Tuttavia, sembra di intravedere, in questa decisione, la solita miopia all’italiana, la stessa che peraltro caratterizza gran parte del tessuto economico, sociale e formativo del Belpaese.

In un’epoca in cui il flusso di informazioni viaggia in tempo reale in ogni parte del globo e in cui l’uso basilare delle tecnologie informatiche è imprescindibile per rimanere competitivi nel mondo del lavoro, la scelta di non puntare a rendere accessibile a tutti connessioni dati adeguate, al di là della zona geografica di residenza, conferma l’incapacità di investire per il presente e per il futuro. Anche contro la stessa crisi che è stata imputata a causa della decisione. Così, se in Svizzera la banda larga è già fruibile da tutti e in Finlandia lo sarà dal prossimo Luglio, gli Italiani che vivono in zone montane o anche solo su molte delle colline e campagne a ridosso delle grandi città, per ora si devono accontentare del vecchio cavetto telefonico, con il rischio di non riuscire nemmeno a caricare le pagine internet dei portali sui quali hanno la casella di posta elettronica.

Certo, qualcuno obietterà che le alternative ci sono: collegamenti via satellite, provider privati che installano ripetitori di segnale propri o la ben più nota telefonia mobile. Pare opportuno, però, evidenziare almeno due aspetti importanti: l’affidabilità di quei sistemi non sempre è all’altezza di garantire sicurezza per chi, ad esempio, usa (o vorrebbe usare) internet per lavoro. Senza contare che i costi di accesso lievitano sensibilmente, alla faccia della crisi. Alla resa dei fatti,  l’Italia si trova a essere agli ultimi posti per accesso alla rete in Europa, persino dietro la Slovenia. Un dato, d’altra parte, del tutto in linea con la diffusione dei computer nel nostro Paese: in Italia ne possiede uno meno della metà degli abitanti (Eurostat) e le previsioni sono che nel 2010 lo avranno il 60% delle famiglie, contro l’80 % dei Paesi europei più avanzati. Non stupisce, quindi, di vedere ragazzi nelle scuole superiori (e non solo) quasi completamente analfabeti per quanto riguarda l’informatica e il web.

Viene da chiedersi se questa non sia una strategia per tenere i cittadini -soprattutto i giovani- quanto più possibile lontani dalla banda larga e dai suoi rischi, primo tra tutti il download illegale, diffusissimo tra i coetanei più fortunati. Ancora una volta, però, sarebbe una scelta dagli effetti controproducenti per l’economia e -in questo caso- per quesi diritti artistici che si vorrebbero tutelare: coloro che scaricano musica illegale sono anche, infatti, quelli che acquistano più dischi sul mercato legale, secondo una recente ricerca Ipsos Mori. A proposito, qualcuno l’avrà fatto sapere a Monsieur Sarkozy?