La Storia affronta il giudizio dei giovanissimi: l'Unità d'Italia? E' un tema poco moderno!
Nel 2011 i festeggiamenti per la nascita dell’Italia unita, ma l’opinione dei ventenni sono negative: uno su due la considera poco moderna; uno su dieci preferisce rinunciare ai festeggiamenti (di Angelo Di Pietro)
Garibaldi forse non lo avrebbe mai immaginato, ma dopo soli 150 anni, le sue gesta sembrano aver perso il fascino epico delle imprese storiche. L’indagine condotta nell’ultimo anno dal “Comitato Italia 150”, l’organizzazione che promuove, sia con progetti scolastici che culturali, le manifestazioni legate al 150esimo dell’Unità d’Italia, dimostra che la maggior parte dei cittadini ignori l’evento. I dati sono certo poco confortanti, ma le reazioni del modo giovanile di fronte le celebrazioni, lo sono ancor meno.
I giovani della fascia 18-24 risultano i più informati, ma anche i più disinteressati, tanto che uno su dieci è pronto a rinunciare ad ogni manifestazione, e chi non vi rinuncia mette al bando lo sciupo e si augura festeggiamenti all’insegna della parsimonia. Colpa della crisi che avanza, certo, ma soprattutto della crisi dell’Amor Patrio, latitante da troppe generazioni: uno su due ritiene il tema poco attuale. Il punto cruciale lo chiarisce Marina Bertiglia, ex provveditore agli Studi di Torino e adesso responsabile della formazione didattica del Comitato Italia: «I ragazzi sono sensibili alla storia solo se la storia si traduce in fatti concreti che abbiano effetti nell’oggi e nel domani. Rifiutano la celebrazione come tale: chiedono di essere coinvolti emotivamente, di avere i loro spazi e di capire meglio come sarà il loro futuro».
E allora far uscire la storia dai libri è diventato il fine di ogni iniziativa dedicata all’avvenimento: nonostante la bassa considerazione per l’Unità, un ragazzo su sette è disposto a ricordare Camillo Benso nella folla di un concerto o in un palazzetto dello sport. Certo, coinvolgere il popolo degli Under25 diventa sempre più complesso, ma tra gadget e mega-eventi sportivi il rischio è proprio quello di smarrire il senso istituzionale della ricorrenza.Clicchiamo su youtube e troviamo le interviste fatte dal Comitato ad un gruppo di studenti degli istituti superiori piemontesi: è il pessimismo che trova voce nelle loro parole, “L’Italia è un Paese conservatore”, “Siamo ancora pieni di pregiudizi reciproci”, “Il senso di appartenenza è più regionale che nazionale”; un sentimento di sfiducia nell’Italia di oggi che si riflette nella perdita di interesse verso l’Italia che fu.
Non solo la distanza Nord-Sud o il timore di un’immagine negativa all’estero, ma a preoccupare i giovani intervistati è la scarsa aderenza tra le loro aspettative e le proposte delle istituzioni. Come dire che lo Stato parla ai giovani, ma non parla la loro lingua. Forse è un Paese troppo vecchio il nostro, o forse è l’identità nazionale a non essere ancora ben delineata dai suoi cittadini. Soltanto cinquant’anni fa i giovani studenti erano il cuore pulsante di una grande rivoluzione intellettuale. Quella fervente vicinanza alla realtà politica è andata scemando di generazione in generazione e, adesso, schiere di ventenni non solo si proclamano delusi dalla patria, ma sono persi nel limbo della non-appartenenza.
Garibaldi, alla testa dei Mille, lo avrebbe mai detto?