Saviano al Premier: "Ritiri la legge sul processo breve"
Per un momento Roberto Saviano ha messo da parte la lotta alla camorra per dedicarsi alla realtà politica. Sabato 14 novembre, sulla prima pagina di Repubblica, Saviano si era rivolto direttamente al Presidente del Consiglio per chiedere di fermare l’approvazione della legge sul “processo breve”. L’11 novembre il Governo aveva presentato il disegno di legge, panacea per tutti i mali della giustizia italiana, basato sul principio della “ragionevole durata dei processi”, e immediatamente si era acceso un aspro confronto politico.
Il giornalista napoletano ha deciso allora di esprimere, in meno di venti righe, le paure e incertezze per il futuro della giustizia: un percorso involutivo, un possibile colpo di spugna sui processi dei colletti bianchi, il rischio di una lottizzazione del diritto trasformato in strumento al servizio dei potenti. “A partire da lei” aggiunge, ma subito puntualizza “non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. E' una questione di diritto”. E qui nasce il caso. Quasi 70mila firme il primo giorno, e poi 210mila. L’appello colpisce la coscienza dei lettori e gli intellettuali si mobilitano in massa. Aderiscono gli scrittori Niccolò Ammaniti e Andrea Camilleri, attori come Valerio Mastandrea, Toni Servillo e l’associazione “Teatri Uniti”, e inoltre Carla Fracci, Sandro Veronesi, Rita Borsellino, Ferzan Ozpetek, Dario Fo. Saviano unisce uomini di cultura e di politica. Sottoscrivono i Verdi, che temono la cancellazione di ogni processo per reati ambientali, dall’abusivismo edilizio alle discariche illegali. Si schiera Stefano Merlini, costituzionalista, perché “applicandosi ai processi già in corso, le nuove norme finiscono per varare una sanatoria per certi reati e per certe persone. Questo è irrazionale".
E neanche le reazioni opposte tardano ad arrivare. La risposta di Renato Farina su “Il Giornale” è in edicola il giorno successivo ed è al vetriolo. “Appello antiberlusconiano dall’italiano un po’ pasticciato” e “con un tono profetico simile a quello di Pietro l'Eremita”, ma soprattutto un presunto quanto velato disprezzo del Parlamento, rinvenibile tra le righe, perché “non si rivolge ai firmatari del disegno di legge, Gasparri, Quagliariello e Bricolo, senatori della Repubblica. Li considera niente. Sceglie di trattare il Parlamento come il pollaio di un Padrone”. Oltre le colorate parole di Farina, è pur vero che Repubblica ha spesso ripreso gli interventi del Governo o del Premier con un tono da crociata, dal caso Noemi alle famose dieci domande. E ciò ha fatto storcere il naso a molti. Comunque, gli incontri-scontri tra le forze politiche e la carta stampata hanno avuto l’unico merito di sviluppare i dibattiti, un clima di confronto, troppo spesso inaridito da un muro di acquiescenza e della più pura disinformazione. E se pensiamo che poco più di un mese fa giornalisti italiani sono scesi in piazza a difendere la libertà di stampa, tutto questo, in qualche modo è rassicurante.
Almeno questo merito, a Saviano, bisogna riconoscerlo.