La ricerca teatrale di Cesare Ronconi

di Anna Laudati

Installazioni, spettacoli e performance in scena fra Firenze, Livorno, Torino, Lecce, Bari, Cagliari, Perugia, Cremona e Bologna (di Paola Pepe)

spaziodellaquiete.jpgDurante la tappa leccese de “Lo spazio della quiete” incontriamo Cesare Ronconi, regista del Teatro Valdoca di Cesena, e Valentina Valentini, studiosa e docente presso il dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo dell'Università "La Sapienza" di Roma.  Fondato nel 1983 dallo stesso Ronconi e da Mariangela Gualtieri, poetessa e drammaturga, il Teatro Valdoca è una delle realtà teatrali più interessanti e significative nel panorama italiano contemporaneo.

Un teatro poetico, un teatro di visioni e versi rappresentati, in cui gli attori hanno addosso tracce di un sapere antico che amalgama la contemporaneità al rituale, alla maschera e al ritmo. Un teatro, quello della Valdoca, che ruota attorno a parole della Gualtieri, trasformando il lirismo in visione onirica e in profezia dei nostri tempi. Dialogo tra Cesare Ronconi, e Valentina Valentini.

Valentina Valentini: Guardando l’architettura scenica degli spettacoli della Valdoca, si nota una “grammatica della visione”, cioè una delimitazione precisa dello spazio scenico…non è un caso che Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri siano entrambi architetti.

Cesare Ronconi: Rivendico una formazione teatrale oltre che architettonica. Le percezione dello spazio è da sempre, per me, una vera e propria ossessione, un punto nodale che mi porta ad una scansione quasi sacrale della scena. 

Valentina Valentini: Col passare del tempo l’uso dello spazio scenico si evolve, attraverso l’arte figurativa, in una sollecitazione continua dello spettatore.

Cesare Ronconi: Lo spazio si modifica di opera in opera, senza seguire una linea di sviluppo ascendente. Le relazioni in un’opera teatrale sono costituite dalla geometria degli spazi, dei corpi e del linguaggio insieme. Nei nostri lavori la metrica del linguaggio delimita i luoghi e porta altrove. Perfino il trucco del corpo è un elemento imprescindibile: la pelle degli attori è scena, è un atlante di segni ed è per questo che il nostro teatro è molto più vicino agli egiziani che ai greci.

Valentina Valentini: la scena funziona come una materia plasmabile, dunque, senza nessuna differenza fra corpi e paesaggio. I corpi diventano sculture viventi. Gli attori si caricano di altri significati, perdono i tratti dell’hic et nunc e tendono all’universale.

Cesare Ronconi: Gli attori in scena sono un corpo unico, organico: tutti conoscono  e sillabano le parti di tutti in una specie di preghiera collettiva, di mantra. La vita è per me un’intercapedine, un portale, un passaggio brevissimo tra la nascita e la morte, che va riempito di suoni, di figure e di parole per descrivere le due immensità agli estremi. L’attore ne è il fulcro, la porta da cui passare, il suo corpo ed il suo spirito sono gli elementi per raccontare l’equilibrio fra due immensità, tra due voragini enormi. I corpi devono santificare i pensieri in una fortissima esperienza verticale.

Valentina Valentini: L’osmosi tra plasticità e sonorità è un altro tratto proprio della Valdoca che coniuga la plasticità del corpo con la plasticità delle parole. Parola, voce, corpo e spazio, insomma, sono coniugati insieme. Ronconi lavora trasversalmente sul teatro, sul linguaggio, sul video e sulle installazioni con un tratto comune, che è generante e non degenerante.

Cesare Ronconi: il teatro è sempre centrale in tutto ciò che faccio.  Non riesco a degenerare, nel senso di uscire dal genere. Oggi il rapporto col suono è diventato difficile, poche cose hanno un suono che non sia debole, che non riempia troppo la scena invece di svuotarla. Il linguaggio mina le radici del teatro. Le parole sono forti, sono sassi e si espandono in scena in una sorta di nebbia fitta del dire.

Valentina Valentini: il teatro è oralità, non scrittura di testo. Bisognerebbe andare dalla voce alla pagina scritta e non viceversa. La contemporaneità è la tragicità di guardare l’orrore del nostro presente, trovando la forza di spingere lo sguardo altrove, lontano.

Cesare Ronconi: Non so definire esattamente la contemporaneità. Io, ad esempio, mi sento contemporaneo alle piramidi. Per essere nella contemporaneità, nel presente puro con gli altri, bisognerebbe eliminare tutte le scorie, ma questa è un’operazione estremamente difficile. Più che altro la  mia curiosità è nel trovare i nessi tra le cose antiche e quelle moderne. Sento forti le affinità con gli espressionisti tedeschi: l’ossessione verso il colore, verso l’animale, verso la pelle dell’attore. Lo spettacolo perfetto è quello in cui tutto è in conflitto ma tutto è in equilibrio. Questo è un momento di tale smarrimento che, probabilmente, porterà alla nascita di una nuova luce di cambiamento, di rinnovamento, che salverà e riscatterà il presente.

“il pensiero, è uno spazio piccolo, piccolissimo dove, però, è nascosta la chiave”