"I beni confiscati alle mafie sono cosa nostra"
La polemica. Se a riacquistarli fossero le stesse famiglie malavitose? (di Giuseppina Ascione)
Lo scorso 12 novembre è stato approvato dal Governo un emendamento della nuova finanziaria che prevede la vendita dei beni confiscati non assegnati entro tre o sei mesi. Tale notizia ha fatto rapidamente il giro di giornali e TV provocando l’immediata reazione di LIBERA, associazione che da anni si occupa di lotta alle mafie e che lavora per la riqualificazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Giovedì 26 novembre, a Napoli, presso la sede della “Fondazione Pol.i.s. – per le vittime innocenti della criminalità e i beni confiscati alle mafie” il comitato campano dell’associazione, ha organizzato una conferenza stampa alla quale hanno preso parte oltre a giornalisti ed addetti ai lavori, tante persone che a vario titolo si impegnano per la salvaguardia del territorio. Rappresentanti delle istituzioni, magistrati, rappresentanti sindacali, familiari delle vittime e tanti cittadini comuni che vedono in questo decreto un tradimento da parte dello stato, e che, incoraggiati dall’instancabile Geppino Fiorenza, hanno ribadito a gran voce il proprio NO a tale emendamento che rimetterebbe sul mercato beni confiscati ai boss della malavita grazie al duro lavoro di magistrati e forze di polizia. “La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto – si legge nel manifesto diffuso da Libera – che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni”.
“Questa norma rischia di far tornare i beni alla mafia, - evidenzia Francesco Menditto, giudice per le misure di prevenzione di Napoli – tutti i beni immobili saranno rivenduti e non saranno mai usati come beni sociali, come previsto dalla legge 109/96. C’è bisogno dell’impegno di entrambe le forze politiche affinché vi sia una pressione da parte dei parlamentari che possono impedire l’andata in vigore di tale normativa”. “Porto in questa sede l’adesione degli 800 giudici, membri dell’associazione Magistrati di Napoli, - continua – e annuncio con piacere che tutti i giudici per le misure preventive d’Italia si sono impegnati a firmare la petizione promossa da Libera”. “Consentire che venga approvato un tale emendamento vuol dire anche calpestare e ignorare tutte le vittime di mafia, per le quali i beni confiscati costituiscono un risarcimento” – dice Tano Grasso, presidente della FAI. 350 familiari delle vittime, infatti, hanno già firmato la petizione e nella lettera divulgata in questi giorni spiegano. “Nel 1996, con Libera e con la firma di oltre un milione di cittadini perbene, abbiamo sostenuto l'approvazione della legge 109 che prevede la confisca del patrimonio dei mafiosi e la destinazione ad uso sociale dei beni confiscati.
Lo abbiamo fatto perché siamo coscienti che l'aggressione del loro patrimonio è temuta dai mafiosi più di qualunque altra cosa, e lo abbiamo fatto perché vedere riconsegnati alla comunità, ai territori, alla società civile, ai cittadini, allo Stato tutti quei beni che la mafia ha costruito sul sangue e col sangue dei nostri cari, dia un senso ed un significato concreto non solo al nostro impegno ma soprattutto al loro sacrificio”. Parole dure anche da parte di Lucia Rea, responsabile del Consorzio S.O.L.E., che avverte “qualora passasse questa legge, a Castellammare si verificherebbe il primo caso di bene confiscato e riacquistato dalla camorra, dal momenti che un appartamento confiscato al clan D’Alessandro si trova nello stesso stabile di quelli ancora in possesso della famiglia”. Tra le attività messe in campo da Libera per sostenere la mobilitazione, lo scorso 25 novembre si è svolta una vendita all’asta simbolica di 40 beni appartenenti all’elenco dei 3.200 beni confiscati alle mafie ancora da destinare. La mobilitazione promossa da Libera durerà sette giorni e chiede il ritiro dell’emendamento in questione. Sono già 15.000 i firmatari dell’appello lanciato da libera. Per aderire ci si può collegare al sito dell’associazione, www.libera.it.