"Chi fuma non è chic"
Per il "Journal of Experimental Social Psychology" la comunicazione sui pacchetti delle bionde, per essere efficace, deve colpire l'autostima (di Angelo di Pietro)
Alcuni giorni fa Reuters batteva una notizia: “Più del 94% della popolazione mondiale non è protetta dalle leggi anti-fumo”. Dati alla mano: 5milioni di vittime ogni anno ( Ndr). Inquietante! Facendo una ricerca sul web da google non emerge niente di positivo. L’ultima indagine in ordine cronologico la pubblica il “Journal of Experimental Social Psychology”, per dimostrare che il catastrofismo stampato sui pacchetti, “Il fumo uccide” ha un’utilità pressoché nulla.
Il pool di studiosi, composto da psicologi americani, tedeschi e svizzeri, ha provato che un maggior effetto si produce, invece, facendo leva sull’autostima, cioè togliendo alla sigaretta quell’alone di fascino da bello&dannato che i grandi di Hollywood hanno contribuito a costruire. L’esperimento alla base di tutto ciò vede coinvolti una quarantina di partecipanti, tutti tra i 17 e 40 anni. Viene formato un sottogruppo composto solo da coloro che hanno iniziato a fumare per ragioni di autostima (come, ad esempio, l’accettazione in un gruppo). Le reazioni ai vari slogan contro il fumo hanno confermato che diversi fattori psicologici entrano in gioco: “Il fumo ostruisce le arterie” o “I fumatori muoiono prima” scatenano effetti paradossali, come l’istinto di autodistruzione, l’indifferenza, l’assuefazione ai messaggi di questo tipo. Gli effetti più incisivi, invece, sono stati ottenuti da messaggi con contenuto blando e che non si riferiscono direttamente alla morte, ma bensì alla qualità della vita. Le disfunzioni erettili e i danni alla pelle vanno per la maggiore. In generale, gli psicologi hanno scoperto che per rendere davvero efficace la comunicazione anti-pacchetto bisogna screditarne l’immagine, incrinare l’appeal della sigaretta che pende dalle labbra.
Potere del marketing, quindi. E anche continua attenzione su un problema in grande crescita. A San Marino, per dirne un’altra, proprio in questi giorni è nato l’Osservatorio permanente sulla condizione giovanile, che indaga anche sul comportamento legato al fumo dei ragazzi under 18. Insomma, qualcosa si sta muovendo. Ci si lamenta spesso che gli adulti non sanno comunicare con i giovani, che sono due realtà distanti. Ma agli adulti, alle istituzioni, ai governi, almeno il merito di provarci e riprovarci bisogna concederlo. Infine, un paio di numeri: in Italia, il 60% dei giovani accende la sua prima sigarette quando è ancora minorenne, il 20% dei quali a soli 15 anni. Inoltre, al di là dei soldi spesi per le Camel dai ragazzi, ricordiamo che anche lo Stato paga: nel 2008 ben 6 miliardi di euro sono stati sborsati per la prevenzione e la cura delle malattie legate al fumo. Dovrebbe bastare così. È inutile inaridire la questione nelle diatribe economiche. Il fumo è una causa di morte evitabile. Magari come slogan non sarà efficace, ma è un concetto chiaro. Mettiamocelo in testa!