Le energie alternative e l'exploit dei Community College americani

di Anna Laudati

Le tematiche ambientali sono sempre più di attualità. Negli Stati Uniti ad aver colto la palla al balzo sono stati i Community College (di Andrea Sottero

energie_alternative_1.jpgEnergie alternative e strumenti per il risparmio energetico sono le sfide che i Paesi occidentali devono sapere cogliere all’unisono nel futuro più prossimo. Questo significa che sempre di più, aziende e privati cittadini dovranno destreggiarsi con le nuove tecnologie che via via  vengono inventate, testate e commercializzate. Significa anche, inevitabilmente, che ci sarà un grande bisogno di personale qualificato che sia in grado di installare, gestire ed effettuare i necessari interventi di manutenzione periodica su quei macchinari e impianti.

I sistemi formativi dei vari stati, dall’istruzione superiore fino ai più alti livelli universitari, si dovranno adeguare alle nuove esigenze del tessuto economico e produttivo, predisponendo insegnamenti mirati a colmare lo scarso numero di tecnici del settore. Negli Stati Uniti, per ora, ad aver colto la palla al balzo sono stati i Community College, ovvero quegli istituti che costituiscono il livello più basso della formazione accademica nazionale e rilasciato diplomi universitari della durata di due anni. Nell’ultimo anno il numero di iscritti ha subìto una fortissima impennata, soprattutto per quegli istituti che hanno raddoppiato o triplicato l’offerta specifica di corsi inerenti ai cosiddetti “green jobs”, quali, per esempio, esperti di pannelli solari o di pale eoliche. Può darsi che la crisi economica che negli ultimi 20 mesi ha colpito in modo feroce gli Stati Uniti abbia contribuito in una certa misura a questa tendenza: le università più blasonate hanno costi molto alti e non tutti possono ancora permettersi lauree della durata di 4 o più anni. In più iscrivendosi ai Community College e scegliendo corsi che preparano a settori innovativi e trainanti, si ha la quasi certezza di trovare facilmente un lavoro dignitosamente retribuito una volta ottenuto il diploma, così da poter recuperare in tempi rapidi l’investimento speso in formazione.

Forse, però, c’è anche stata una maggiore lentezza da parte delle strutture universitarie più importanti, dove da sempre le basi teoriche e la ricerca pura costituiscono il fulcro delle attività (sebbene, parlando dell’America,  bisognerebbe fare i dovuti distinguo rispetto alle università italiane!), a reagire ai cambiamenti del mercato del lavoro. In ogni caso le grandi multinazionali Americane che sono abituate a lavorare a stretto contatto con il mondo accademico (anche in questo caso il paragone con il nostro Paese regge poco…), stanno sottoscrivendo accordi con diversi community college per l’installazione di laboratori ad hoc dove poter formare dal punto di vista pratico gli studenti e la predisposizione di piani curricolari integrati con stage sul campo attraverso cui avvicinare gli universitari al mondo del lavoro. Una delle caratteristiche dell’America, d’altra parte, è quella di vedere ogni cambiamento a cui la società, il mondo del lavoro o l’economia sono sottoposti, come un’opportunità da cogliere al volo, al di là delle facili critiche che emergono dai giudizi più immediati. E la vecchia Europa, come reagirà?