Il dibattito sulla leva obbligatoria continua a fare scalpore. Nuovo emendamento presentato il 4 febbraio (e bocciato qualche giorno dopo). Il PD polemizza. Ambiguità e incertezze di un provvedimento politico non del tutto abbandonato (“Lo riproporremo a Luglio”) (di
Angelo Di Pietro)
C’era una volta la leva obbligatoria. Bei giovani che lasciavano il focolare appena spuntata la prima barba, per dormire in branda, per le notti in guardiola e per i km a passo di marcia. C’era una volta e adesso non c’è più: l’estate del 2005 ha segnato il culmine di vent’anni di riforme, riduzioni e proteste sulla coscrizione militare, con un’ultima parola, abolizione. Eppure nemmeno adesso, dopo tutti questi anni, la naja riesce a riposare in pace.
Il 4 febbraio il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha proposto in Parlamento l’istituzione della mini-naja, “un corso di formazione di carattere pratico-teorico, che durerà 21 giorni e si terrà due volte l'anno”. Destinatari i giovani tra i 18 e i 30 anni in possesso dei requisiti fisici e morali previsti dalla legge del 2001. “In particolare”, aggiunge La Russa, “dovranno presentare un documento con il quale dimostrano di non avere procedimenti penali in corso o condanne, e dovranno consegnare accertamenti clinici con esito negativo sulla assunzione di stupefacenti e alcol, anche saltuari”. Lo scopo del provvedimento, ci tiene a precisare il ministro, è di avvicinare i giovani ai corpi dell’arma, ai loro valori, e prepararli ad un’attività di volontariato da svolgere in accordo con le forze armate.
Finalità culturali e formative, dunque, ma intanto si accende il confronto nel mondo politico. “E’un modo per illudere i giovani e raccogliere consenso a buon mercato”, accusa Rugghia, esponente PD, “inoltre, come è noto, non ci sono soldi per garantire ai soldati, dopo anni di servizio fuori area, la continuità del rapporto di lavoro: come è possibile, ci chiediamo, che si trovino risorse da investire in una proposta che non offre nessuna prospettiva futura ai nostri giovani?”. Così, mentre quelli del PD si incavolano, l’IDV denuncia il ritorno al fascismo, l’UDC è scettico, e persino Fini (presidente della Camera) rigetta la proposta, in questa caciara generale l’emendamento non passa ed è bocciato la mattina del 10.
La Russa, per niente spaventato da tutto questo, minaccia laconico: “Lo riproporremo a Luglio”.
Isoliamo il conflitto in quel di Montecitorio e partiamo da una considerazione: le forze armate sono un potente strumento politico. Che, però, da decenni soffre di una cronica mancanza di fondi. Mini-naja come ottimo palliativo, dunque, della mancanza di personale lamentata dalle associazioni d’arma? E ancora: è un caso che tale proposta sia stata inserita accanto al lodo salva-generali [i generali evitano i processi col beneplacito del ministro della Difesa, ndr]? Fatto sta che la nuova figura del soldato-breve farebbe entrare oltre sette milioni di euro l’anno (per almeno tre anni) nelle casse dello Stato; avrebbe favorito l’inserimento lavorativo di quasi 15mila ragazzi (ricordiamo che le forze armate storicamente rappresentano l’impiego accessibile a tutte le classi sociali); ma soprattutto, avrebbe sensibilizzato e avvicinato i giovani ad una realtà troppo spesso osteggiata (vedi Genova, il caso Raciti, ecc…).
Chissà, forse La Russa aveva percepito un barlume di verità. Però se la politica continua a barcamenarsi tra demagogia spicciola e strumentalizzazioni pre-elezioni, i risultati raggiunti saranno benché sterili.