Opg. Le voci e gli sguardi dei matti. Rompiamo il silenzio ed apriamo gli occhi

di Anna Laudati

di Sara Pulvirenti e Anna Laudati

 

laudati_pulvirenti"Una vera e propria discarica dove ci andiamo a mettere le persone che non vogliamo vederci davanti per strada", questa la definizione degli OPG, ospedali psichiatrici giudiziari, usata da Iacona nella puntata di Presa Diretta dedicata ai manicomi giudiziari. Oggi Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, ha promesso di far uscire le 388 persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani che, non essendo "socialmente pericolose", potrebbero essere dimesse ma rimangono negli Opg per assenza di strutture alternative e fondi, devono essere mantenute. Ci sono 5 milioni di euro per far ciò: che si proceda.

Che senso ha scrivere un articolo su un problema così delicato attingendo a piene mani da un programma televisivo? Per di più senza utilizzare alcun dato statistico e nessun commento ufficiale. Sembrerà strano ma un motivo c'è. L'ambizione è infatti quella di provare a raccontare cosa succede e cosa si prova ascoltando certe voci e vedendo certe immagini.

L'altra sera andava in onda Presa Diretta: spesso la televisione e' accesa solo come sottofondo. Delle volte pero', come l'altra sera, una frase, ripetuta una, due, tre volte "Giustizia, giustizia, giustizia,..."con un tono di voce sempre più disperato ma al tempo stesso meno alto, quasi si allontanasse dal microfono, ha di certo attratto l'attenzione di molti italiani. Poi il suono duro della chiave che gira nella toppa della porta. Sempre in molti siamo corsi davanti allo schermo dove si vedeva un volto, contornato da lunghi capelli bianchi, dietro ad un vetro appannato dal fiato delle grida di quello stesso uomo.

I più grandi scienziati ci insegnano che prima di "risolvere" un problema è necessario vederlo, toccarlo, studiarlo. La storia ci racconta che durante il nazismo, ciò che faceva forte i nazisti era la loro capacità di tenere tutto nascosto: la loro atrocità era così enorme che nessuno mai avrebbe creduto alle vicende raccontate dai pochi che sarebbero sopravvissuti.

Il silenzio. La cecità. E' brutto dirlo, soprattutto per chi scrive, ma, di fronte alla crudezza di certe immagini ed alla voce straziante di alcuni visi, non ci sono parole sufficienti. Non si può raccontarli, si deve sentirli e vederli e ancora di più servirebbe toccarli. Quelle persone non sono altro da noi. Non dovrebbero finire nella discarica dell'umanità come spesso succede. Quegli occhi, quelle mani, siamo noi. Noi uomini.

Ed ecco il senso di questo articolo. Di fronte a quelle urla, nelle nostre case c’è stato il silenzio così rigido, assoluto. E se da una parte si aveva il desiderio di credere che quelle immagini non fossero vere, dall'altra invece si sentiva il disagio di constatare che quella realtà era ed è reale anche se non si vede o conosce, ma la sofferenza, come la legge, non ammette ignoranza, nel senso che non la cancella anzi in questo caso la rende ancora più atroce. Tutti allora ci siamo sentiti inevitabilmente in colpa.

Queste persone se sono così ANORMALI deve esserci un motivo. Una volta erano come noi? E poi il dubbio diventa certezza perché subito dopo sullo schermo è apparso un altro uomo che, dietro sbarre di ferro arrugginite, ti ha mostrato la sua foto da piccolino gridando con tutto se stesso "io ero NORMALE, io da bambino ero un bambino normale!".

Non c'è niente da fare! Alcune cose non basta raccontarle, bisogna vederle. E' obbligatorio farlo. Non si può avere il dubbio di avere usato le parole sbagliate. E non per dovere di cronaca, sempre soggetta ad interpretazioni e sfumature soggettive, ma per rispetto di quell'uomo con pochi denti e gli occhi azzurri che con il viso nella telecamere ci piange addosso, gridando tutto il suo dolore ed il suo legame con la sua famiglia: "Non me lo merito tutto questo, non me lo merito tutto questo, papà! Papà, viemme a sarvà!", Papà viemme a sarva, Papà, viemme a sarvà"!  

Per questo le promesse fatte oggi da Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, di far uscire le 388 persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani che, non essendo "socialmente pericolose", potrebbero essere dimesse ma rimangono negli Opg per assenza di strutture alternative e fondi, devono essere mantenute. 

La disponibilità totale per agevolare l'assistenza sul territorio dei dimissibili è, da parte del ministero della Salute, di 5 milioni di euro; che si proceda alla ‘scarcerazione’ di quei 388 e si ci attivi per tenere il resto in condizioni umane accettabili.