"I vivi chiedono perdono ai morti". Il valore della memoria storica nel mondo moderno

di Anna Laudati

di Alessandra Campanari e Anna Laudati

laudati_campanari“Il sonno della ragione genera mostri”. La celebre espressione del pittore spagnolo Goya, invita ancora una volta ad una riflessione sulla realtà dei nostri tempi, dilaniati non solo dalle atrocità delle guerre e da fenomeni di violenze quotidiane e di corruzione, ma anche da episodi d’intolleranza, di mistificazioni del passato e pericolosi attentati alla memoria storica. Conservare il valore dell’atto del ricordare, infatti, non è solo un gesto morale dovuto, ma un continuo richiamo al senso del rispetto e della responsabilità da parte di tutti, perché, come sappiamo, un paese senza memoria, è un paese destinato alla perdizione.

A venticinque anni dalla tragedia di Chernobyl, una scritta rimane ancora oggi all’ingresso della città abbandonata di Pripyat: “I vivi chiedono perdono ai morti”. Proprio un quarto di secolo avviene in Giappone la stessa tragedia, se non peggiore. Il 24 gennaio 2007, ad Arezzo, viene profanato, nella notte, un ex cimitero ebraico: tagliati i rami di un ulivo e lasciati due striscioni “Dieci, cento, mille Shoah” e “Priebke libero” firmati con simboli neonazisti. Il 2 novembre del 2008, ad Ancona, nel cimitero di Tavernelle, vengono ritrovate delle svastiche disegnate alla base del sacrario dei partigiani. Il 18 dicembre 2009, ignoti criminali, rubano l’iscrizione in ferro battuto “Arbeit mach frei” (Il lavoro rende liberi), simbolo dell’olocausto fascista, dal cancello d’ingresso di uno dei più tristemente famosi campi di concentramento. Il 18 maggio del 2010, a Rodi, viene profanato il monumento all’Olocausto ebraico e distrutta la Stella di David. E ancora il 16 aprile 2011, Milano viene tappezzata di manifesti con la scritta “Fuori le Br dalla procura”, il tutto alla vigilia del 9 maggio, la giornata istituita in memoria dei magistrati uccisi dal terrorismo. (il 9 maggio 1978 fu assassinato il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro).

Queste, e purtroppo tante altre azioni irrazionali, rappresentano l’ennesimo affronto alla memoria storica della nostra umanità. Gesti che offendono il ricordo e la storia di un paese, di una popolazione, di coloro che hanno lottato e sacrificato la loro vita per ridare dignità al passato, agli stessi uomini e alle aberrazioni della storia. Atti vigliacchi, spesso legati ad anacronistiche rivendicazioni politiche, che deridono e mancano di rispetto a chi ha versato un tributo, anche di sangue, per combattere la violenza in tutte le sue forme e degenerazioni, a chi ha pagato le colpe degli odi altrui sulla propria pelle, a chi non si è arreso alle ingiustizie sociali, e quindi a tutte le vittime dell’irrazionale odio umano.

Questi recenti fatti di cronaca, queste “storie di ordinaria follia” devono, allora, farci riflettere, perché, al di là delle rivendicazioni politiche, al di là delle offese al dolore personale, e le canzonature alle istituzioni, profanare la memoria storica significa, in primis, distruggere le basi dell’identità di un popolo, cancellare la presenza storica sul volto dell’umanità. Quello che si mette in gioco è la frantumazione delle coscienze in rapporto al proprio passato, così da dimenticare ciò che è stato e ciò che si è stati nello scenario del pesante fardello della storia delle atrocità umane. E “Chi non ricorda la storia”, si legge su un muro di Auschwitz, “è destinato a riviverla”.

Qual è allora il senso della memoria storica nello scenario moderno? Quanto senso ha la costruzione e la conservazione di monumenti volti a perpetuare il ricordo degli orrori del passato? In quale misura la memoria storica è oggettivamente utile all’uomo e quanto è importante l’atto in sé del ricordare?

Nel nostro tempo, e in particolare dalla seconda metà del XX secolo, nel mondo post-moderno, per dirla con la definizione del filosofo francese Jean-François Lyotard, dove vige sempre più lo scetticismo, il problema della memoria storica è diventato un problema della motivazione alla memoria, un esercizio che chiama in causa la virtus, ovvero il vero valore dell’atto del ricordare. Si può, infatti, facilmente dimostrare quanto e come la memoria storica, come fonte di conoscenza, non sia stata spesso, e purtroppo, produttrice di sapienza: l’uomo ignorante e irrispettoso, impegnato nelle sue guerre politiche, religiose, territoriali ha dimostrato di non aver imparato ad evitare ciò che nel passato l’ha penalizzato e ha anzi contribuito a perpetuare, anche se in maniera minore, ma per questo non meno giustificabile, gli errori di cui la storia si è fatta portavoce.

Il problema, allora, è la motivazione alla memoria. Non è importante, infatti, solo l’atto in sé del ricordo e quanto, scolasticamente parlando, ci si rammenta di quel determinato evento del passato, ma fondamentale è il motivo che sta alla base del processo mnemonico, quel perché che pone l’uomo davanti al suo passato in modo consapevole, facendo della storia una maestra di vita. Non è rilevante solo ciò che si ricorda o l’atto del ricordare in sé: il nodo fondamentale è il motivo cosciente che porta un uomo a porsi davanti al suo passato e alla storia, cercando di trarre da essa un insegnamento per la vita futura.

I numerosi monumenti alla Shoah, le celebrazioni delle giornate della memoria, i cimiteri con le tombe ebraiche non hanno, allora, alcun valore se la consapevolezza del possesso di un patrimonio culturale, da salvaguardare e tramandare ai posteri, diventa motivo di rivendicazione politica, speculazione economica, gioco goliardico e mero atto del ricordare. Visti i presupposti, la società va, quindi, rieducata alla memoria storica e alla motivazione di tale memoria che è sì dovere, ma anche bisogno dell’uomo contro l’oblio della ragione, contro la propria disumanizzazione.

Oggi più che mai ricordare è divenuto un imperativo morale da intendersi come premessa per evitare di commettere i medesimi errori, di tornare a vivere nella caverna platonica che preclude la vera conoscenza e impedisce agli uomini di assumersi la responsabilità delle proprie colpe. La caverna platonica è allora, per il mondo moderno, una maschera che nasconde le responsabilità dietro il successo tecnologico ed economico, dietro il benessere materiale, dietro l’ignoranza della propria storia sociale e culturale e che troppo spesso offusca le coscienze e riconduce l’uomo alla falsa quiete dell’oblio.

Primo Levi, vittima dei campi di concentramento nazisti, per primo ci insegna e ci invita a riflettere, o meglio a meditare con la sua arte, affinché non venga dimenticato quello che è stato, perché è necessario che si acquisisca una salda consapevolezza di ciò che di atroce ed assurdo si è commesso, affinché la dignità della memoria storica, prima maestra di vita, non venga sopraffatta, irrimediabilmente, dal sonno della ragione. 

La celebre espressione del pittore spagnolo Goya, “Il sonno della ragione genera mostri”, invita, allora, ancora una volta a una riflessione sulla realtà dei nostri tempi, dilaniati non solo dalle atrocità delle guerre e da fenomeni di violenze quotidiane e di corruzioni, ma anche da episodi d’intolleranza, di mistificazione del passato e pericolosi attentati alla memoria storica. Conservare il valore dell’atto del ricordare, infatti, non è solo un gesto morale dovuto, ma un continuo richiamo al senso del rispetto e della responsabilità da parte di tutti, perché, come sappiamo, un paese senza memoria è un paese destinato alla perdizione.

Lasciamo, allora, alla voce del poeta il senso di quest’anamnesi storica perché nessuno, più di chi ha subito le atrocità degli uomini nella propria storia personale, è degno di insegnarci il valore e la conservazione di tale memoria.

«Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando la sera / Il cibo caldo e / visi amici: / Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d'inverno. / Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole ./ Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi, alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa , / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi». (Primo Levi “Se questo è un uomo”).