Volontariato e servizi civici: i giovani europei impegnati e indignati

di Andrea Pignataro

di Andrea Pignataro

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Qualche considerazione a pochi giorni dalla fine dell’anno europeo dedicato al volontariato.

L’anno europeo “delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva” sta per terminare.

Le migliaia di iniziative locali, nazionali e transnazionali che lo hanno caratterizzato hanno mostrato senza alcun dubbio l’esistenza e la vitalità di un mondo troppo spesso sottovalutato nella sua fondamentale funzione di “fare l’Europa”, ossia di costruire una solida base interculturale di dialogo, di scambio e di condivisione tra i cittadini.

Occorre tuttavia notare come a livello continentale permangano differenze sostanziali nel significato che i vari stati membri danno all’espressione "volontariato". D’altra parte basta concentrarsi per un momento solo sul nostro Paese per avere la chiara percezione dell’annosa, spesso aspra e a volte surreale contesa sull’essenza del volontariato, sulla purezza di alcuni e sul mercimonio di altri, su presunte primogeniture e sicure autoreferenzialità, su straordinarie spinte alla modernizzazione delle idee e delle pratiche e su disastrose ricadute verso concetti organizzativi desueti già nel secolo scorso.

Guardando all’Europa, dunque, registriamo una certa ambiguità semantica intorno alla parola "volontario", figlia delle realtà e delle pratiche dei differenti paesi. Di immediata evidenza, ad esempio, il caso dei francesi, che traducono volontario come "bénévole", ossia qualcuno che lavora, che presta un’opera, un servizio, non essendo retribuito, laddove in inglese il “volunteer” ha come missione un’azione in favore della società civile. In tedesco viceversa si distinguono la pratica del volontariato, "Freiwilligendienst", e quella del servizio civile "Zivildienst", ma "freiwillig", che traduce volontario, si usa indifferentemente per entrambe le esperienze, come invece non si fa in Italia, dove per i giovani che partecipano al servizio civile è stato concepito l’apposito, e francamente inutilizzabile, neologismo “serviziocivilisti.”

Attività di volontariato e servizio volontario, a livello continentale, sono sempre di più due pagine dello stesso libro. Essenziale, per l’evoluzione di questa discussione in merito al servizio civile, o civico alla francese, e al volontariato, è stata la spinta delle politiche giovanili della UE, in particolare l'istituzione del Servizio volontario europeo (SVE) che ha portato, dal 1996, molti paesi a ripensare il tema del volontariato giovanile. Di fronte al crescente disimpegno dei giovani europei dalle forme classiche di esercizio della cittadinanza, erano e sono necessari il rinnovamento e la riorganizzazione dei luoghi e degli strumenti di partecipazione, così come la scelta di costruire occasioni di impegno civico e sociale più moderne e ricche di opportunità.

D’altro canto l’accusa di disinteresse per la dimensione dell’impegno sociale e politico a più riprese mossa da tante parti ai giovani è stata a mio avviso categoricamente smentita dalla netta e potente rivendicazione di un ruolo nella società civile evidenziata dal movimento, per certi versi straordinario, degli indignati.

L’esperienza ormai consolidata in Italia come in Europa ci mostra che gli strumenti di partecipazione come il servizio civile nazionale o lo SVE, che uniscono contenuti e pratiche di solidarietà e di cittadinanza attiva, di integrazione e di empowerment, di educazione non formale e di arricchimento umano, sono le esperienze di impegno preferite dai giovani. Perché grazie ad esse maturano un rapporto nuovo con l’essere cittadini, sono coinvolti di più nella vita dei territori e delle comunità, partecipano ad attività di volontariato, acquisiscono competenze e metacompetenze anche professionalizzabili.

Insomma, citando il presidente Mao, nell’Europa del volontariato e dei servizi civici: c’è grossa confusione sotto il cielo, la situazione è ottima!