Giovani in cerca di una garanzia (o anche solo di opportunità)

di Francesco Gentile

(di Francesco E. Gentile)

1_francesco_gentile_1 “fig. Assicurazione, promessa certa, fondata speranza dell’avverarsi di cosa futura; per lo più al plur.: impiegato che dà ottime gdi rendimentol’affare offre buone g.di riuscitaun tentativo che dà poche, o scarse g. (o non dà nessuna g.) di successo.” Questa è una delle definizioni che l’Enciclopedia Treccani fornisce del termine garanzia. Il 2014, stando alle decisioni del governo e alle dichiarazioni del Ministro del Lavoro Giovannini, sarà l’anno della Garanzia Giovani,una serie di azioni, strumenti, investimenti per far si che, entro quattro mesi dalla richiesta, un giovane Neet possa ricevere una risposta in termini di opportunità. In questi mesi, talvolta in sordina, altre volte con maggior vigore, questo tema ha attraversato in parte il dibattito pubblico italiano. Si deve riconoscere il merito al Ministro Giovannini di aver avuto la capacità di innescare attorno alla definizione della Garanzia Giovani versione italiana, un dibattito largo, partecipato e tuttora in corsa. Non era scontato in un Paese in cui, per pigrizia e debolezza culturale, il tema del lavoro è immaginato come materia di soli giuslavoristi e quello dell’analisi dei bisogni occupazionali e sociali delle giovani generazioni materia di sociologi o, se fortunati, di assistenti sociale.

In questi mesi decine di attori sono stati coinvolti, ascoltati,incoraggiati a proporre azioni e strumenti per rendere Garanzia Giovani uno strumento utile e per dare un significato all’investimento di 1,5 miliardi che l’Italia si appresta a realizzare.

L’ampiezza della cifra e la gravità della disoccupazione giovanile, alle soglie oramai del 50%, impongono a tutti gli attori coinvolti una serietà e una capacità di innovazione compiutamente rivoluzionaria. Provo a spiegare. Se l’approccio degli attori sociali- no-profit,sindacati, associazioni giovanili, mondo dell’imprenditoria- sarà ancora una volta di difesa tendenzialmente ottusa di irrisorie rendite di posizione, allora il nostro Paese avrà ancora una volta perso l’occasione di cambiare verso.

Un esempio su tutti: i centri per l’impiego. Da questi luoghi, metà uffici metà girone dantesco dell’inedia, dovrebbero passare i beneficiari delle azioni della Garanzia Giovani. Qualche settimana fa Rizzo sul Corriere della Sera facendo due conti rilevava che, negli ultimi 7  anni, hanno trovato lavoro attraverso i centri per l’impiego circa 35.000 persone all’anno, a fronte di una spesa annuale di 464 milioni di euro. In pratica 13.000 euro a posto di lavoro. Rizzo rilevava ancora come solo il 2,2% delle imprese si rivolge a queste strutture per reclutare manodopera e come il 90% delle risorse spese se ne va in stipendi per i circa 9.000 dipendenti sparsi per l’Italia.

A meno che non si voglia negare l’evidenza, è chiaro a tutti come i Centri per l’Impiego così concepiti hanno fallito miseramente il loro compito. Che si fa? Ci inventiamo qualcosa per ripensare funzioni, funzionamenti e azioni o lasciamo che anche la Garanzia Giovani affondi nelle secche di timbri, carte bollate, permessi sindacali e cartellini marcatempo?

È di moda, in questo Paese, raccontare cosa vogliono i giovani, quali bisogni, quali necessità.

Ci permettiamo di darvi un piccolo suggerimento: chiedetelo a loro. Vi risponderanno, forse, che chiedono opportunità, servizi, formazione, speranza.

Il resto lo faranno loro, tranquilli.