“Quello che manca”: viaggio dentro e fuori l’umanità di Napoli

di Ornella Esposito

Un fotoreporter ed uno scrittore attraversano Napoli e dintorni immergendosi negli strati di una società invisibile. Ne emergono con un racconto forte e coinvolgente in cui il “visivo” e “lo scritto” percorrono strade parallele, ciascuno prezioso controcanto dell’altro. (Ornella Esposito)

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“Su di Napoli si è scritto tanto”, lo dice subito Angelo Petrella, giornalista, scrittore e sceneggiatore partenopeo, autore insieme con il fotoreporter Salvatore Esposito anch’egli partenopeo, del libro “Quello che manca” edito da Contrasto e disponibile da poche settimane nelle principali librerie.

 

È sempre difficile raccontare una città già narrata non solo da tanti autori, ma anche da molteplici punti di vista. Ancora più difficile è farlo evitando di trasformare Napoli in un “fenomeno da baraccone”.

Il punto di vista scelto dagli autori, in viaggio da Scampia a Castelvolturno passando per Forcella e Marigliano, è quello di chi vive margini, da sempre.

“Quello che manca” racconta, con immagini potenti ed una scrittura minimalista, storie di vita  semplicissime e allo stesso tempo complicatissime, storie di chi si perde, ma anche di chi si sforza di credere nel cambiamento.

ServizioCivileMagazine ha intervistato Angelo Petrella, uno degli autori.

angelo_petrellaAngelo, tu dici proprio nella prima pagina: “Su di Napoli si è  scritto tanto ma non si riesca a finire di scrivere”. Un’ ossessione questa città?
«Si, è un’ossessione. I miei romanzi sono tutti ambientati a Napoli, e non riesco mai staccarmi dalla città. Non lo scelgo a priori di parlare di Napoli però la città ritorna, come se sentissi che alcuni aspetti non li abbia ancora bene esplorati a sufficienza. In questo reportage narrativo la scelta è stata quella di parlare di un quartiere, di percorsi marginali, di realtà che sono state affrontate poche volte in questo modo»

Sempre all’inizio del libro dichiari: “Napoli è un paradosso, ma non è una sintesi dialettica”. Ci spieghi meglio?
«Con questa affermazione voglio dire che i due termini restano in contrapposizione perenne, non si fondono in una sintesi. In poche parole, il bello e il brutto restano tali non diventano “carino”, cioè non si fondono in una terza cosa. Ciò, tradotto in una storia di umanità, è per esempio un ragazzo  di cui parlo nel libro che, visto fuori dal suo contesto, era una persona piena di progetti, di vitalità, amabile. Però i soldi per realizzare i suoi progetti se li procurava spacciando. Era cattivo e amabile allo stesso tempo. Mi fa venire in mente la battuta del film “Wall street” di Oliver Stone in cui uno dice ad un altro: “Non si può essere incinta soltanto un po’”. Ecco, a Napoli si può essere incinta soltanto un po’».

Sempre tu poi affermi che Napoli è una “cartina al tornasole per capire questa strana cosa che è l’Italia”
«Si, perché In Italia succedono tante cose, e a Napoli accadono prima che in altre parti del Paese. Probabilmente perché è una città precaria da tanti punti di vista ed i nodi vengono al pettine prima».

Di Napoli il libro mostra immagini molto dure, come forte è la tua scrittura che utilizza uno stile secco. Di Scampia, Castelvolturno, si è parlato già tanto e senza mezzi termini. Qual è invece la novità del vostro libro?
«Già solo il contrappunto fotografia-testo è particolare perché fornisce due letture: il primo è di forte impatto, il secondo ti porta per mano e cerca di condurti ad una riflessione sulla città che, tuttavia, non pretende di indicare soluzioni. Quello che si è cercato di fare è mostrare come l’umanità di quanti ho incontrato non sia etichettabile solo come povertà, criminalità ma è molto più varia e degna di essere, per così dire, cullata».

Che cosa manca a Napoli?
«Manca tantissimo, manca troppo, quasi tutto. La cosa più grave è che alle persone deputate a traghettare la città verso il futuro mancano le strutture mentali per capire i mali di Napoli che non si possono curare, per esempio, tappando le buche per strada di volta in volta, ma necessitano di un progetto di lunga durata. Pochi hanno questa lungimiranza».

E invece cosa c’è?
«Quello che manca è anche quello che c’è. Per la questione del paradosso di cui sopra».