Speciale "Pensieri e azioni: un ebook per il Servizio Civile”. Imparare a volare di Giulia Panizza

di Katia Tulipano

ServizioCivileMagazine, in collaborazione con l'UNSC nell’ambito dello speciale "Pensieri e azioni: un ebook per il Servizio Civile", pubblica le storie più emozionanti dei volontari che hanno vissuto quest’esperienza. (Katia Tulipano)

servizio_civile_pensieri_e_azioni Imparare a volare, di Giulia Panizza

 Sono passati sei anni e proprio non mi verrebbe di dirlo, così tanto tempo, più degli anni trascorsi sul banco di scuola al liceo, che quasi sembravano infiniti.

Eppure eccomi qui, sei anni dopo, tante conquiste e qualche cosa ormai persa o, forse, giustamente lasciata andare.

Fa tenerezza riguardarmi in quei giorni, l'ansia e la timidezza che non mollavano mai, ma più grande ancora era la voglia di mettermi in gioco, provarci, nonostante le difficoltà e le paure che fino ad allora avevano segnato il mio cammino.

Ricordo che l'idea mi girava in testa da un po', sebbene non conoscessi direttamente nessuno che l'avesse già fatto il Servizio civile. Era qualcosa che mi incuriosiva, soprattutto per quello che avrei potuto provare, per quello che avrei potuto pensare di me stessa sapendo di essere un volontario. Proprio io, che da sempre ero stata "classificata" come fragile, da proteggere… quasi fossi una specie in via d'estinzione! Volevo una chance per dimostrare a tutti e soprattutto a me che quel giudizio era, almeno in parte, sbagliato. Che c'erano e ci sarebbero state sempre delle problematiche da affrontare, a causa della mia salute. Ma che la forza della vita poteva essere più forte, io potevo essere più forte. Oltre alla presentazione della domanda c'era il colloquio di selezione che, soprattutto, mi spaventava.

Nel mondo ovattato dei miei studi accademici, gli esami erano stati superati in modo brillante e, per quanto fossi abituata a parlare davanti a delle commissioni, a sostenere le incalzanti domande dei professori con voce ferma e decisa, sarebbe stato certamente molto diverso dimostrare quella stessa sicurezza parlando di me, di quello che ero convinta che sarei riuscita a fare.

Perché si trattava di parlare di qualcosa che anche io non conoscevo di me. L'intelligenza e la conoscenza, in fondo, non sono altro che strumenti astratti del nostro intelletto: è nel come e nel cosa in cui proviamo a tradurli che ci caratterizza, ci determina, fa di noi quello che vogliamo e possiamo essere.

Io che cosa volevo o potevo essere?

Questa domanda mi tormentava, ma sapevo che dovevo trovare una risposta. La tesi ormai era in dirittura d'arrivo, stava arrivando nella mia vita il momento in cui in ogni caso avrei dovuto trovare una risposta, ma l'occasione del colloquio di selezione per diventare volontario, la rendeva ancora più impellente.

C'era la possibilità di trascorrere un anno in uno dei musei più belli della mia città, addirittura specializzato nella disciplina in cui mi stavo laureando. C'era la possibilità di inserire nel mio curriculum un'esperienza di alto profilo civile, prima ancora di terminare gli studi. C'era, più di ogni altra cosa, la possibilità di vivere una situazione condivisa, che avrebbe creato dei legami umani con numerose e nuove persone, oltre al gruppo in cui speravo di entrare, forse anche oltre i confini geografici della mia città. Insomma, la posta in gioco era alta.

Troppo alta? Non nego di averci pensato. Perché quando sei immerso in circostanze che spesso hanno davanti il segno negativo, essere due volte più forte talvolta non riesce. E nei giorni di pioggia è molto facile rintanarsi nel proprio nido, senza rendersi conto che non è il mondo che ti sta lasciando fuori, ma sei tu che stai lasciando fuori il mondo.

Ho perso il conto di quante volte l'ho fatto anch’io, di quanto tempo, di quanta vita se ne è andata così. Se avessi preso la calcolatrice forse avrei anche potuto scoprire che quella rabbia e quella delusione mi hanno portato via molto di più di quanto potrà mai fare la malattia.

Non volevo un altro segno " - " (meno) davanti ai miei ricordi.

Volevo un'opportunità, di questo ero certa. Ma se non fossi stata in grado di coglierla quell'opportunità? Dovevo trovare altri riscontri in me stessa, altre e più solide basi su cui fondare le mie aspettative.

E così l'attesa del colloquio si è trasformata nella prima, vera occasione di fare un viaggio dentro di me, alla ricerca di quel "chi" sconosciuto, che non era scritto in nessuna delle mie cartelle cliniche, in nessuno dei voti, delle pagelle, dei diplomi conquistati sui banchi di scuola.

Sorrido con dolcezza a riguardare, oggi, quell'uccellino che per la prima volta guardava fuori dal nido, scoprendo di avere delle ali, ali che avrebbero anche potuto farlo volare, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Oggi che guardo a quei giorni come ad un nuovo inizio, l'avvio di una trasformazione così profonda che mi ha portato ad essere quasi come colei che accompagna, se non guida, il cammino di altri ancora nascosti nel nido.

Ce n'era di strada da fare all'epoca, quando più di ogni altra cosa dovevo superare gli ostacoli che avevo nel cuore. Riconciliando la mia anima con il mio corpo, facendo della disabilità un'occasione di sapienza e non solo e banalmente di sordo, sterile dolore.

Sto ancora camminando sul sentiero di quel cammino e sono profondamente convinta che fino al mio ultimo giorno sarà difficile intravvederne la fine. E forse, in qualche modo, è meglio così.

Perché non commetta mai l'errore di sentirmi "arrivata" e il sapore dolce di una vittoria mi svii dal desiderarne un'altra e un'altra ancora.

L'anno di Servizio civile, conquistato con tanto orgoglio, è trascorso con alti e bassi, come tutte le cose della vita, ma nel computo finale resta un ricordo importante, fondamentale: nel corso di quell'anno, ho portato a compimento gli studi universitari e al termine ho avviato il mio percorso nel mondo del lavoro.

Oltre a ciò che ho imparato nell'esecuzione dell'attività che mi era stata assegnata, porto con me soprattutto l'esperienza umana, i rapporti instaurati con gli altri ragazzi coinvolti nello stesso progetto (con alcuni dei quali sono tutt'oggi in contatto), con i colleghi al museo, con il pubblico a cui offrivamo il nostro servizio.

Un enorme bagaglio di conoscenza che non si impara in nessun libro, ma che, viceversa, è spendibile in ogni situazione: inserirsi in un ambiente già costituito, con proprie regole e consuetudini; avere a che fare con persone più grandi che non ricoprono più un ruolo preminente nei nostri confronti, ma che anzi sono nostri pari; rispondere a situazioni che possono crearsi da un momento all'altro e che devono essere gestite per non mandare all'aria il lavoro di tante persone. Queste e altre circostanze potenzialmente ripetibili nella vita privata come in quella professionale, dove sei parte di un gruppo, ma anche, necessariamente un singolo.

Autonomo, ma responsabile di te stesso e di chi è con te.

Una scuola di vita a corredo di quella imparata a scuola: un mattoncino in più per costruire il proprio destino.

E imparare a volare.

 

Ente Comune di Genova

Progetto I volontari del Servizio civile per la valorizzazione, promozione e

comunicazione di Genova musei

Anno 2005/2006