Il Punto di Enrico Tomaselli: L’eccezione inculturale

di Enrico Tomaselli

Da anni, ormai, nel lessico politico – ma non solo – è entrato in uso il termine glocal; ovviamente, il termine porta con sé un concetto, ed una più precisa definizione di questo. (Enrico Tomaselli)

download1 Si tratta di uno dei tanti in casi in cui le idee e le tematiche del movimento (impropriamente definito) no-global, sono entrati come per osmosi nel dibattito pubblico, spesso adottate da coloro che allora le avversarono. Del resto, si dice che un conservatore è colui che adotta le idee di un progressista quando questo le ha consumate...

L’idea che sta dentro il termine glocal, è che occorre affrontare le problematiche localmente, inserendole sempre in un contesto dialettico con la dimensione globale *. Ed è quindi con un approccio glocal, che affronterò il post di questa settimana. Parlando come sempre di politiche culturali, ma cercando di mettere in connessione le problematiche locali con quelle generali.

É di questi ultimi giorni, il disvelamento del restyling cui è stato sottoposto il logo del MADRe. Parafrasando De Gregori, verrebbe da dire “non è da questi particolari, che si giudica un Direttore…”; certo che, almeno sotto questo profilo, la scelta appare pessima. Non c’era alcuna ragione di modificare il precedente logo, che aveva una sua precisa riconoscibilità, anche internazionale. E certamente la scelta fatta è francamente indicibile; per quanto giustificata come adozione di uno stile minimal, il nuovo logo appare più che altro insignificante. Prodotto dall’agenzia Leftloft di Milano, costato € 20.000 (per l’intera immagine grafica del museo, di cui comunque il logo costituisce elemento centrale), non può non riportare alla memoria la scandalosa scelta del nuovo logo di Salerno, costato ben € 200.000!, che sembra anch’esso uscito dalle mani di un adolescente e non da quelle di Massimo Vignelli. Per non parlare di quelli proposti alla scelta della Rete, in perfetto stile grillin-benecomunista,per la nuova società ABC (ex Arin): il raccapriccio è l’unica sensazione che si ricava vedendoli.

Ma non si doveva lavorare per l’immagine della città?A meno che l’idea non sia di rappresentarla quale effettivamente è: allo sbando.

Intanto, il patrimonio artistico-culturale del Paese continua ad essere abbandonato. L’area archeologica di Pompei rischia di finire sulla blacklist dell’UNESCO, se i 105 milioni stanziati per il Grande Progetto Pompeidall’ex Ministro Barca non daranno a breve i loro frutti. La Reggia di Caserta è trasformata in un suk. La vicina Reggia di Carditello, ormai in uno stato di totale degrado, non trova un solo investitore privato che voglia acquistarla – il che la dice lunga, sulle chance di integrare con fondi privati gli scarsi investimenti pubblici, ma anche sulla scarsa capacità pubblica di incentivarli. I lavoratori del Colosseo denunciano il pericoloso degrado del monumento-simbolo dell’Italia nel mondo. Piazza del Plebiscito è in condizioni vergognosamente indecenti, ma ci si accapiglia sul suo utilizzo come arena per concerti...

L’Italia investe in cultura circa la metà della media europea, poco più dell’1% del PIL. Eppure siamo il Paese che, secondo le stime UNESCO, detiene oltre il 50% dei beni artistici e culturali dell’intero pianeta!

Solo per la conservazione, sarebbe necessario investire almeno 3 volte tanto. Ma i governi (tutti) preferiscono un’altro genere d’investimenti. Missioni militari all’estero, o l’acquisto di cacciabombardieri costosissimi, malfunzionanti, il cui controllo rimarrebbe in mano USA, ed i cui costi di gestione sono stratosferici. E da ultimo, lo Stato Maggiore della Marina Militare chiede 10 miliardi per rinnovare la flotta!

E vogliamo parlare del famoso #decretodelfare? É vero, sono solo chiacchiere. Ma sapete qual’è lo spazio dedicato alla cultura? Semplicemente, non esiste.

Mentre in Italia si procede in modo del tutto estemporaneo, altrove si mettono in campo decise politiche di sostegno alla cultura.

A Roma si pensa di rendere triennale la carica di Direttore di Museo, ma senza riflettere sul fatto che una scadenza così breve è del tutto insufficiente – specie nel panorama italiano – per definire una politica museale. Se pure l’idea di inserire per legge un limite temporale massimo può essere considerato un fatto positivo, sarebbe più ragionevole pensare ad una durata di almeno 5/7 anni. Oppure, nell’eterna logica di ricavare reddito, si pensa di affittare all’estero (anche per vent’anni…) il patrimonio artistico conservato nei magazzini museali...

Risalta insomma, macroscopicamente, l’incapacità della classe dirigente italiana nel concepire una strategia di valorizzazione dell’enorme patrimonio culturale nazionale. In questi giorni, il governo francese, nell’ambito delle trattative USA/UE sull’interscambio commerciale, è riuscito ancora una volta ad ottenere una clausola di salvaguardia per le proprie produzioni culturali, quell’exception culturelle che consentirà alle nuove produzioni artistiche e culturali francesi di non essere soffocate dalla concorrenza statunitense. Un risultato ottenuto grazie alla chiara visione, da parte dei governi d’oltralpe, di come il patrimonio culturale costituisca non solo un’importante elemento identitario, ma anche un rilevante comparto economico.

Fintanto che l’Italia non sarà in grado di esprimere una classe dirigente consapevole e capace, che sappia fare del suo patrimonio culturale (passato, presente e futuro) un’elemento cardine per lo sviluppo sociale ed economico, l’unica eccezione culturale che potremo annoverare sarà quella di avere lo scarto maggiore al mondo, tra potenzialità e capacità di trarne vantaggio. Perchè, come scrive Christian Caliandro **“oggi non solo la realtà può essere trasformata dall’azione e dal pensiero culturale, ma essa deve essere cambiata, per il semplice motivo che nella versione attuale non durerà a lungo (la sottolineatura è mia).

Ministro Bray, per favore: almeno lei, batta un colpo!

* Glocalizzazioneglocalismo è un termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali.

** Christian Caliandro, Italia revolution, Bompiani – grazie al blog di Pippo Civati per avermelo fatto scoprire...