Albo si, albo no: quale chiave per diventare giornalisti?
La questione attraverso gli occhi del veterano Diego Novelli (di Claudia Gorgoglione)
Una prece. Per la vecchia e affascinante macchina da scrivere, per le corse affannate alla ricerca dello scoop, per articoli che si chiamavano pezzi. Per un mondo che sembra essersi dissolto o vive al margine dell' html, xml, php o linguaggi vari ed eventuali. Un pensiero va anche al pezzo pagato, non bene, ma comunque pagato. Tra le altre questa è con certezza una pratica morta e sepolta. Prima di chiedersi perchè forse bisognerebbe chiedersi chi è il giornalista di oggi, o meglio quale sarà il giornalista di domani. Dopo vari studi, tentativi, riflessioni ed profili, eccone uno: confuso, volenteroso, diligente, sintetico e grammaticalmente corretto, scoraggiato e politicamente disinteressato. Dorme poco e scrive molto.
Divora parole scritte, odia quelle dette. Adora Barzini, Siani e Nascimbeni. Disposto a scrivere anche di piante, accetta qualsiasi compromesso fino a svalutare il suo tempo, la sua scrittura e il suo lavoro. Il tutto per raggiungere il primo dei tanti obiettivi per la scalata al “potere”, l'anelato tesserino da pubblicista: la chiave per entrare nel girone dei curiosi. E proprio in questi giorni di infervorate polemiche circa qualcuno che avrebbe offeso qualcuno dicendo qualcosa (ricordate, il giovane giornalista è disinteressato alla politica!) torna alla mente del giovane e talentuoso scribano la frase più ascoltata della sua vita: nell'accettare una tua collaborazione ti ricordiamo che il contributo è assolutamente gratuito. L'immagine successiva è quella di un bambino stanco che se ne torna a casa, dopo la scuola, con le braccia a penzoloni ed uno zaino più pesante di lui. Ma stringe i denti, perchè sa che quello zaino deve tornare a casa con sé. Quello zaino è il nostro tanto amato tesserino. Una riflessione più lucida, però, conduce ai mail estremi. Ed i quesiti si infittiscono: quale l'utilità di un folder in ecopelle dai colori improbabili? Quale l'utilità di anni di ricerca “matta e disperatissima” se il risultato è la svalutazione di ciò e di chi scrive?
La questione è controversa: albo sì, albo no. Ed intanto chi intraprende questa strada non ci pensa, spera e dispera. Lo scorso 27 Aprile, il padre della “Nuova società”, Diego Novelli, così ha “parlato”: “Dall'albo dei pubblicisti, facenti parte dell'Ordine varrebbe la pena un dettagliato discorso. Mi limito a rilevare l'inflazione di questa categoria, con iscrizioni a go-go, di elementi che con la professione non hanno nulla da spartire anche solo part-time. È ormai diventato una sorta di status symbol poter dire di essere giornalisti (senza specificare pubblicisti) anche se hanno il divieto di sosta presso una macchina per scrivere o un computer. Però l'ingrossamento della categoria dei pubblicisti è servita per qualcuno ad acquisire potere all'interno dell'Ordine. Anche questo aspetto è abbastanza scandaloso. […] Essere iscritto ad un Ordine professionale ricco di teppisti, che usano il computer su cui scrivono come un manganello, che diffamano altri colleghi (il caso Boffo è emblematico), che violano costantemente la verità dei fatti (confondendo volutamente assoluzione con prescrizione) oppure che abbinano alla professione di giornalista con quella di informatore dei servizi segreti (a pagamento), non è entusiasmante. […] Per noi giornalisti tutto è lecito. L'Ordine e i suoi attuali dirigenti non vedono, non sentono, sono latitanti. E se ci sono, dormono. Il prossimo Congresso dell'Ordine (elezioni il 23 maggio, ballottaggio il 30 maggio) potrebbe essere una buona occasione per scrollarci dalle spalle la fastidiosa, imbarazzante ignavia che squalifica l'intera categoria”.
Un discorso senza speranza e pieno di remore dal saggio maestro di penna. A questo punto una prece anche per i più speranzosi.