Venticano. La testimonianza di nonna Antonietta a trent’anni dal terremoto del 1980

di Angelo Di Pietro

Nessuno sa descrivere la storia se non chi la vive. A trent’anni dal terremoto che ha semidistrutto metà Campania e oltre, si riaccendono polemiche sui fondi ormai perduti e sugli sperperi. SCMagazine per vederci meglio ha dato voce a chi ha vissuto tutto di un terremoto in cui per tirare fuori dalle macerie le persone si scavava con le mani e per comunicare bisognò aspettare giorni per il ripristino della linea telefonica fissa, piochè non ci dimentichiamo che i cellulari all'epoca non esistevano. (Angelo Di Pietro

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Sapete dov’è Venticano? Ve lo diciamo noi. È un tipico paesino del centro Irpinia, 3mila anime, cani, gatti e galline compresi. Non proprio una località turistica, ma ci siamo andati lo stesso, per ricordare il sisma che giusto trent’anni fa ha colpito Campania e Basilicata. 23 Novembre 1980, ore 19.35, 90 secondi di scosse del settimo grado, quasi 3mila morti, oltre 280mila sfollati. Tanti ricordi, e intanto ci siamo presi un thé con Nonna Antonietta.

Ma allora qui si è sentito il terremoto?
Eccome! Ero di là, in corridoio. Così forte che non ci si poteva muovere, nemmeno alla porta sono riuscita ad arrivare. Però qui (nella bassa Irpinia, ndr) i danni sono stati pochi. Si, qui al paese sono state poche le case danneggiate. Però i paesi dell’alta Irpinia li ha distrutti. Sant’Angelo, Morra, Lioni, sono venuti giù. Si sono fatti polvere. Pensa che la settimana dopo è venuto Pertini. È atterrato con l’elicottero e c’era tantissima gente. Appena sceso hanno incominciato a tirargli le pietre!

Ma gli aiuti non sono arrivati?
Gli aiuti sono arrivati tardi. Due, tre giorni dopo. In alcuni paesi anche più. Nei primi momenti eravamo soli. Sentivamo le notizie alla radio, nemmeno fosse la guerra. E dopo quattro, cinque giorni c’erano ancora persone sotto le case, ma nessuno poteva tirarli fuori.

E come si fece?
La gente scavava con le mani.

E le ruspe?
Non era come oggi, che ci sono tutte le strade asfaltate. Le poche vie che c’erano, i ponti, tutto distrutto dal terremoto. Tutti i paesi più interni erano isolati, gli lanciavano il cibo, i vestiti dall’elicottero.

E dove dormivate? In tenda?
Macché tenda! In auto! Più di una settimana sui sedili dell’auto, in quattro persone. In casa non potevi entrare, ha continuato a tremare per altri giorni. Niente acqua, niente luce, niente gas. Poi sono arrivati gli aiuti, li distribuivano in chiesa. Un mare di roba. Coperte, cibo, vestiti, pentole da cucina. Troppa roba e tanta gente che, anche se non aveva perso niente e aveva la casa nuova, si riempiva le mani e arraffava ovunque. E si rivendevano le cose a caro prezzo! Se andavi in ferramenta, fino a qualche tempo fa, te lo potevi comprare un giubbotto del terremoto. Però poi c’è stata la ricostruzione. Si e no. Qualche hanno fa hanno tolto gli ultimi container. Stavano proprio qui affianco. Poi molte case sono state rifatte nuove. Anche quelle che non avevano bisogno di essere ricostruite. Venivano buttate giù e si chiedevano i contributi per rifarle daccapo. Ricordo che la mattina dopo il terremoto, sul corso (la via principale del paese, ndr) stava tutto felice il padre dell’ingegnere, che se ne andava via dicendo: “Un terremoto dovrebbe venire non dico ogni anno, ma ogni cinque”.

E adesso che fine ha fatto il padre dell’ingegnere?
È morto. Di malattia.