Stranieri. "De vulgari eloquentia": Ritorna alla ribalta la “Questione della lingua”

di Gerarda Pinto

Da lunedì 9 dicembre 2010 il permesso di soggiorno sarà concesso agli stranieri solo dopo aver superato un esame sulla comprensione di brevi testi, frasi ed espressioni comuni in italiano. Superato il test, la Questura, verificati gli altri requisiti richiesti, darà il via libera. (Gerarda Pinto

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Il decreto del 4 giugno 2010, firmato di ministri dell’Interno e dell’Istruzioni, Roberto Maroni e Maria Stella Gelmini, regola le modalità di svolgimento dei test di conoscenza della lingua italiana per la concessione del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo.

L’art 2 del decreto, riguardo alle disposizioni sulla conoscenza della lingua italiana prevede che lo straniero debba possedere un livello di conoscenza della lingua italiana che consente di comprendere frasi ed espressioni di uso comune. Per verificare il possesso di tali conoscenze, lo straniero dovrà effettuare un test, con modalità informatiche.

Non è tenuto, invece, allo svolgimento del test lo straniero che è già in possesso di un attestato di conoscenza della lingua italiana che certifica un grado di conoscenza non inferiore al livello A2, che ha frequentato un corso di lingua italiana presso i Centri provinciali per l’istruzione, che ha conseguito il diploma di scuola secondaria di primo o secondo grado presso un istituto scolastico appartenente al sistema italiano d’istruzione.

La lingua di un paese è il simbolo dell’ identità nazionale. L’italiano, intesa come lingua largamente diffusa, è una creazione recente, sebbene affondi le sue radici in passato molto fiorente per la letteratura. Bisogna ricordare che quando l’Italia fu unificata, non esisteva una lingua parlata comune a tutti, ma tante e diffuse varianti dialettali. Fatta l’Italia, bisognava fare l’italiano.

Accademici, letterati, politici discussero molto sulla “Questione della lingua”, un dibattito noto già nel rinascimento, ossia su quali dovevano essere i testi di riferimento per l’italiano scritto. Ci vorranno molti anni, due guerre mondiali, l’istruzione pubblica obbligatoria e la diffusione dei mass media per divulgare l’italiano che viveva sui libri e per unificare le tante varianti.

Oggi 62 milioni di persone parlano l’italiano come prima lingua, fino a 126 milioni come seconda. Sono dati importanti per l’identità nazionale; la lingua va tutelata, diffusa e divulgata, cercando di contenere anche le proposte regionali che propongono l’introduzione del dialetto nelle scuole.

Un italiano riconosce un suo connazionale se lo sente parlare.

Se l’obiettivo di questo decreto è valutare la conoscenza della lingua per migliorare l’integrazione e l’inserimento, soprattutto nel mondo del lavoro, ha ragione di esistere.

Al tempo stesso bisogna sempre considerare che la condizione di uno straniero è quasi sempre molto precaria, il più delle volte proviene da paesi dove, nemmeno, i bambini frequentano le scuole perché costretti a lavorare.

E' una contraddizione o semplicemente un modo per selezionare persone con un livello d’istruzione superiore alla media? L’apprendimento della lingua è anche una conseguenza della permanenza in un paese, da cui si assimilano usanze, costumi, abitudini; non può essere il requisito essenziale senza il quale non è possibile avere il permesso di soggiorno.

L’integrazione è un procedimento lento, che comincia con l’inserimento graduale, il rispetto della cultura d’origine e di quella del paese che accoglie.

C’è da chiedersi come potranno, le centinaia di migliaia di migranti che lavorano tantissime ore al giorno, di notte nelle fabbriche, nei campi, permettersi di seguire e pagare un corso d’italiano? E’ giusto che chi vive in Italia conosca a fondo la nostra cultura e la nostra lingua, ma è altrettanto giusto che siano organizzati dei corsi ad hoc per i nuovi italiani.

La lingua non si apprende solo con un corso accelerato di regole grammaticali, spesso sconosciute anche agli italiani stessi, ma con il confronto, sul posto di lavoro, attraverso mass media, conoscendo e interagendo con le persone del posto, spesso anche dai figli più piccoli che frequentano la scuola italiana, ossia seguendo lo stesso iter lento e lungo che hanno seguito le generazioni precedenti, sia quelle cresciute in Italia, sia quelle sia sono migrate all’estero.

“Arrivano in Italia, lavorano tutto il giorno, cercano di inserirsi, ma poi di sera spariscono, si appartano come se fossero ricercati. Non li conosceremo mai a fondo, cosi.”(Mario Monicelli)