Giovani alla riscossa. Sul Ddl Gelmini? Non è una rivoluzione, anzi...

di Anna Laudati

Incontriamo due studenti dell’università Roma Tre, che pur preferendo martenere l’anonimato, ci raccontano l’università che vorrebbero, le falle del ddl Gelmini, e cosa è successo martedì scorso a Roma. (Chiara Matteazzi)

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Prima di tutto, cosa contestate al ddl Gelmini?
Questa riforma non è, per prima cosa, una rivoluzione. Al contrario, essa si inserisce in contesto che da vent’anni danneggia la cultura scolastica. In questo senso, il ddl Gelmini si presenta come il compimento di un processo già in corso. Noi pensiamo che ci sia bisogno di una riforma, il sistema universitario attuale non è certo perfetto. Ma quella proposta non è una riforma, ma una finanziaria.

Ossia?
La riforma prevede tagli del 90% sui fondi destinati alle borse di studio, ponendo molti studenti di fronte alla seria possibilità di essere dal prossimo anno incapaci di sostenere economicamente una istruzione univeristaria.

E riguardo alla privatizzazione?
La privatizzazione applicata al sapere lo condiziona inevitabilmente, indirizzando la ricerca e piegandola alle logiche di mercato. Questo tipo di prospettiva, inoltre, andrebbe a ledere fortemente le facoltà umanistiche, le quali non offrendo risultati in termini “pratici” verrebbero sicuramente messe in secondo piano rispetto a quelle scientifiche. Insomma, prima di ricorrere ai privati si potrebbe pensare a qualche altra soluzione per risanare i conti dell’università pubblica.

Ad esempio?
Si potrebbe per esempio sfruttare una sorta di “sistema pubblicitario” da sfruttare all’interno degli atenei. Non siamo degli esperti in materia, ma riteniamo che prima di ricorrere ai privati si possano e si debbano trovare soluzioni alternative. Siamo fortemente contrari quindi alla presenza di privati nei consigli di amministrazione, e anzi ci piacerebbe che avvenisse proprio il contrario: ossia inserire i professori all’interno dei consigli di amministrazione dei privati. Questo assicurerebbe la presenza di una voce giovane, in grado di rappresentare gli studenti, ma soprattutto così facendo avremmo un sapere che indirizza il mercato, e non viceversa.

Come giudicate la manifestazione di martedì 14 dicembre?
La manifestazione di martedì era partita con un intento pacifico, la notizia della fiducia al Presidente del Consiglio ha poi fatto esplodere un malcontento da troppo tempo latente. La piazza ha detto il suo no ad un governo che rifiuta di confrontarsi con i suoi cittadini. Ecco perché abbiamo sentito il bisogno di farci sentire. Abbiamo provato in tanti modi a dare vita ad un dialogo, ma abbiamo sempre trovato davanti un muro.

Gli studenti arrestati sono tutti incensurati, quindi non possono essere bollati come semplici facinorosi. Sono persone che, insieme a tante altre quel giorno, sono esplose.

Quale sarà il passo successivo?
La nostra intenzione è quella di allargare la protesta, coinvolgere la società tutta. Perché così come la cultura è di tutti, non solo degli studenti, è anche di tutti la protesta che noi studenti abbiamo portato avanti e che continueremo a portare avanti. I referenti degli studenti, infatti, non sono i politici, ma i loro ideali.