La rivoluzione egiziana

di Gianfranco Mingione

Una dittatura tra le più feroci al mondo, con a capo il monarca assoluto Mubarak, tenta di reprimere la rivolta di un popolo che lotta per la democrazia. E non servirà a nulla sparare sulla folla, chiudere ogni tipo di comunicazione, rassicurare gli alleati. Quando il profumo della libertà si diffonde, nulla può fermarlo. E i giovani lo sanno. (Gianfranco Mingione)

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Il bilancio attuale sarebbe di cento vittime, migliaia di feriti, la capitale e molte città sotto l’urlo della rivolta della società egiziana. A pochi giorni dalla "rivoluzione del gelsomino" tunisina, l'effetto domino colpisce un altro stato sofferente del Nord Africa. Un popolo che chiede riforme economiche, oltre a, dato non meno importante, chiedere le dimissioni del "presidente dittatore" Hosni Mubarak, che da 30 anni regna in Egitto.

Il vecchio dittatore ha pronunciato proprio ieri un discorso alla nazione, nonostante la tv araba Al Jazeera, già dia per fuggiti a Londra i due figli e la moglie (chissà perché la notizia è stata smentita dalla tv di Stato egiziana). Il clima politico è sempre più instabile. Ieri il governo del premier Ahmed Nazif si è dimesso e Mubarak ha nominato il generale Soleiman, capo dei servizi segreti, vicepresidente.

La chiusura dello spazio comunicativo. Via internet, via i telefoni: ogni linea di comunicazione è stata tagliata, resa più difficile per fermare l’avanzata della rivolta. Sono poche le notizie che valicano i confini nazionali e ciò che giunge in Italia, in Europa e nel resto del mondo è il quadro di una situazione pericolosa e in continuo mutamento. Facile immaginare quanto sia difficile, in un  contesto del genere, per i giornalisti presenti in Egitto, così come per chiunque tenti di riportare i fatti, dare notizie sull’evolversi della rivolta.

L’associazione “Un ponte per” diffonde un appello urgente per l’Egitto secondo il quale sarebbero migliaia i ragazzi fatti sparire nei centri di detenzione messi in piedi dalla polizia e alcuni sono in fin di vita per i maltrattamenti. Sempre nell’appello, si legge dell’impossibilità ad intervenire, da parte delle associazioni di avvocati che hanno avuto il telefono fuori uso già da ieri. Leggi l’appello

La preoccupazione è tanta e basta scorrere tra le pagine del web per leggere i commenti laconici di chi, egiziano o italo egiziano, dal nostro paese guarda con timore a quanto sta accadendo ai propri familiari. Bassam, giovane italo egiziano, scrive così sulla sua bacheca di Facebook: “Sono molto preoccupato per la mia famiglia...parlare con mio cugino che mi dice “ti parlo e vicino a me c'è un carro armato” non è rassicurante....sono preoccupato per cugini, zii, nonni e amici...tanta è la preoccupazione”.

La sintesi visiva di ciò che sta accadendo nel paese delle piramidi la restituisce uno dei video che sta girando il mondo grazie a Youtube. Un video che in poco più di due minuti contiene il grido dei giovani per la libertà religiosa, civile, lo scontro tra chi vuole il cambiamento e chi vuole continuare a far vivere il proprio popolo nel terrore della dittatura. Illuminante la citazione a fine video di Kennedy: “Coloro che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche, fanno sì che diventino inevitabili quelle violente”. L’Egitto né è la conferma.

Questo è il 5 giorno della rivolta.

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La diretta video sul sito del Corriere della Sera